sabato 26 dicembre 2009

Il mistero del Natale...in poesia!


Poesie di Natale (dedicate a Sante e Antonio- uniti nel mio cuore-)

Il mistero di Natale – L. Hausman

La Luce guardò in basso
e vide le Tenebre:
“Là voglio andare”
disse la Luce.
La Pace guardò in basso
e vide la Guerra:
“Là voglio andare”
disse la Pace.
L’Amore guardò in basso
e vide l’Odio:
“Là voglio andare”
disse l’Amore.
Così apparve la Luce
e risplendette.
Così apparve la Pace
e offrì riposo.
Così apparve l’Amore
e portò vita;
questo è il mistero del Natale.

E’ Natale – Madre Teresa di Calcutta

E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.


Prendi un sorriso – Gandhi

Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza,
e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà,
e donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore,
e fallo conoscere al mondo.


Natale 1990 Paolina Messina

Signore
se tornassi a nascere
in una bidonville del Cairo
o tra i grattacieli di New jork
non troveresti
né pastori né magi
per il tuo presepio.
Né luce di cometa
né cori di angeli
a scuotere
muri di indifferenza.
L’urlo di Abele
risuona ancora
in ogni angolo
della vecchia terra
e nuovi Erodi
sorridono alle telecamere
dai loro troni di sangue.

*****
Novena di Natale

E “lucean le stelle”
in quelle gelide mattine di dicembre.
I nostri passi leggeri
nel buio scolorito dell’alba.
“Introibo ad altare Dei”
“Ad Deum qui leatificat
iuventutem meam”
Nient’altro io chiedevo al Natale
che la magia di quella novena
scandita in latino
nella Matrice stipata d’incenso
gli occhi fanciulli sgranati
sul grande presepio della sagrestia.
Scendeva dalle stelle
il Pargolo divini
ed io non sapevo di salirvi.

*****
Natale 1993

Vorrei cancellare
le nuvole nere
che si addensano
all’orizzonte.
E’ forse utopia
pretendere un cielo azzurro
all’alba del duemila?
Cupe trombe di guerra
mi porta il vento dell’est
e ancora Caino innalza
la sua bandiera di sangue
e ancora Cristo rinasce
voce che grida nel deserto.


Natale ‘91 di Jolanda Catalano

Le noci non hanno più
l’odore di mio nonno
effluvio di sigaro e sciroppo per la tosse.
Di sangue s’è macchiato ormai il gheriglio,
contaminato il guscio
da infetti spifferi di morte.
Sulle montagne azzurre
non fiocca più il Natale
e le zampogne dolci
si perdono col vento
che stanco se ne scende nella valle
soffiando lente nenie di tristezza,
gridi accorati e fiochi dai cespugli
e intermittenti e labili lamenti.
E l’ombra di mio nonno si allontana
soffusa e mesta di malinconia,
non un sorriso sul suo volto bianco,
i pugni chiusi di rabbia impronunciata.
Non hanno più sapore queste noci.
Questo Natale sa d’indifferenza.

*****
Natale 2005
Credetemi,
non mi riconosco in questo Tempo
che si trascina ancora
il vecchiume dei morti
se negli occhi della gente
non vedo più luce,
se tutto si opacizza
tra la nebbia del male.
E questo Natale,
mio dolce Bambinello,
Ti mancherà un Re ed il suo dono
giacchè l’incenso e la mirra
dall’urna della memoria
a Te ritorneranno come sempre
ma l’oro ormai è sporco del Tuo sangue,
dello scempio che l’Uomo ha dilatato
oltre confini incerti e le parole
più non bastano a descrivere il dolore
dell’innocenza uccisa in questi anni.
Tu già lo sapevi e non dicevi niente
di un Natale monco e i pastorelli
con gli occhi fissi ad aspettare il dono
che completasse il Tempo ed il Presepe.
Ed io mi chiedo se sarà Natale,
se ci sarai ancora in quella stalla
e se Ti merita il Re che Ti ha tradito.


Dio in fasce di Federico Garcia Lorca

E così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.
Brezza e materia unite nell'espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.

E così, forma breve d'inefferabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda.


Natale,un giorno di Hirokazu Ogura

Perché
dappertutto ci sono cosi tanti recinti?
In fondo tutto il mondo è un grande recinto.

Perché
la gente parla lingue diverse?
In fondo tutti diciamo le stesse cose.

Perché
il colore della pelle non é indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.

Perché
gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non lo vuole.

Perché
avvelenano la terra?
Abbiamo solo quella.

A Natale - un giorno - gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo.
Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele.
Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla punta.

Allora tutti si diranno "Buon Natale!" a Natale, un giorno
.


Natale di S. Quasimodo

Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?


A Gesù Bambino di Umberto Saba

La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

Una mia carissima amica dice che: "Natale dovrebbe essere ogni giorno!",come non essere d'accordo? Mi piacerebbe che questa piccola selezione di poesie possa accompagnare (almeno durante le festività) chi verrà a farmi visita.ele

lunedì 21 dicembre 2009

Buon Natale!



A tutti i miei amici il mio augurio sincero di un Natale sereno, nel quale ritrovare il calore degli affetti, lo spirito di fratellanza, il desiderio di condivisione del poco che abbiamo con chi è meno fortunato di noi (sono tanti!).

mercoledì 16 dicembre 2009

Zoli di Colum Mc Cann


Nel libro Zoli di Colum Mc Cann (Rizzoli, agosto 2007), si narra la storia di una zingara con una straordinaria vocazione alla poesia, che tuttavia viene messa al bando dalla sua gente perché, secondo una stretta osservanza della tradizione rom, non è consentito alla donna saper leggere e scrivere e, tanto meno, mettere per iscritto componimenti poetici. Al massimo la poesia può essere materia di canto, e Zoli infatti è inizialmente presentata come quella che canta appassionatamente suggestive canzoni tradizionali, molto amate dal suo popolo.
Nel libro di Mc Cann la zingara ancora si sposa secondo il volere del gruppo familiare, si dedica molto alla cura e all’educazione dei figli secondo i valori della cultura dei padri, è duramente punita se adultera, è addirittura cacciata dalla comunità se ne trasgredisce i principi.
Ed è a una donna vera, Papuska, poetessa rom cacciata in esilio dal suo popolo, che si ispira Mc Cann per la sua eroina.
Secondo la caratteristica propensione dell’autore ad una scrittura che “va avanti e indietro nel tempo” seguendo il flusso della memoria, la storia si sviluppa su due piani temporali e narrativi che si intersecano, e nei quali la narrazione si svolge alternativamente in prima e in terza persona. Uno dei due piani ci porta, nel 2003, prima in Slovacchia e poi a Parigi, e racconta in gran parte la ricerca di Zoli da parte del giornalista che un tempo l’ha scoperta; l’altro piano è per lo più il racconto che la stessa Zoli fa a sua figlia della sua vita errabonda dagli anni ’30 agli inizi del duemila, dalla Cecoslovacchia all’Ungheria, all’Austria, all’Italia. Quando l’autore narra in terza persona, la sua prosa si fa realistica e si accosta al parlato quotidiano, mentre se ricorre alla prima persona, la prosa diventa poetica e visionaria, tutta ricordi e poesia.
È in questa dimensione che viene rievocata l’infanzia errabonda della piccola rom che, sola con suo nonno, scampa allo sterminio di tutta la sua famiglia ad opera della milizia nazista dei Hlinka; ed è proprio al nonno – singolare personaggio, lettore di Marx e Lenin ma educatore severo ai valori dei padri – che Zoli deve l’apprendimento segreto della lettura e della scrittura, perché, egli sosteneva, “... tradizione significava continuare le usanze ma, a volte, an¬che iniziarne di nuove” (pag. 33).
La zingara vive un’adolescenza sentimentalmente ricca ma serena nel suo accampamento, cantando con grande trasporto le canzoni care alla sua gente; poi, in obbedienza al volere del suo gruppo familiare, sposa a quattordici anni un vecchio violinista rom che devotamente accudirà fino alla morte; ma intanto, verso gli ultimi anni ’40, è scoperta e lanciata dal regime comunista che – per “ascoltare le radici profonde dei nostri fratelli zingari” e "rendere “onore al proletariato colto” – la esalta come voce di una cultura da valorizzare e inglobare nel sistema.
Segue il racconto di tempi tumultuosi ed oscuri, segnati dall’impossibile storia d’amore tra la giovane rom ed uno dei due giornalisti che l’hanno scoperta, dal rapido estinguersi dell’iniziale slancio liberale del regime verso gli zingari, dalla contemporanea maledizione di Zoli e dalla sua condanna al silenzio ad opera del suo popolo, dai tormentosi giorni dell’esilio e della fuga fino all’approdo in Italia, presso il contrabbandiere che l’ha salvata e diventa suo marito e il padre di sua figlia.
Proprio grazie a sua figlia, Zoli, ormai ultrasettantenne e vedova, ritrova a Parigi, in un convegno internazionale sulla cultura rom, il giornalista che un tempo ne aveva scoperto le doti poetiche, e può assistere al definitivo riconoscimento della sua poesia e liberamente cantarla.
Appaiono subito evidenti nel romanzo di Mc Cann i nuclei tematici che gli stanno a cuore: l’esaltazione dell’arte come fonte di purificazione e redenzione, anche in contrasto con i valori, pur amati, della cultura tradizionale, e poi – soprattutto – la necessità di conoscere a fondo chi è diverso da noi per accettarlo e rispettarlo com’è.
Zoli ricorda dolente quello che i gadze (i non-zingari) rinfacciano ai rom: “Siete ladri, siete bugiardi, siete sudici; perché non potete essere semplicemente uguali a noi?"(pag. 250). Ma poi sembra pacificarsi, nella considerazione di un uguale destino d’amore e di morte che pare accomunare tutti gli uomini.
Recensione di Anna Maria Lepore

venerdì 11 dicembre 2009

Il faro di Paolo Carbonaio



IL FARO

Spruzzi d’acqua e vento in faccia,
mentre affrontiamo le onde
di questo nostro mare in tempesta.

Momenti ritmati da una musica
solamente nostra,
che ci conquista,
ci avvolge e ci fonde
nella fragranza del mare.

Soli, fuori dal mondo
e dalla vita,
dal passato e dai ricordi,
dalle rive della realtà.
Unici padroni del nostro faro,
riparo sicuro tra i marosi
delle nostre esistenze.

Come pulcini bagnati
ci stringiamo assieme,
profumando di quiete
e di speranze.

paolo carbonaio

sabato 5 dicembre 2009

Anche il cardo ha il suo fiore...di Paolina Messina


Ho segnato in rosso
nella mappa dei ricordi
i sentieri della gioia
Stradine in salita
appena tracciate
da un bisbiglio sommesso
di voci lontane
che io ben conosco
Mi guidano insegne
di tenui profumi
e colori sbiaditi
dal tempo
Ecco là nel cortile
la vecchia cisterna
Mia madre ricurva
sul secchio ripieno
di gelida acqua piovana
E'mia quella giara
spaccata con dentro
la ruta che emana
l'aroma suo forte ed amaro
E' mia quella strada
a scalini che sale
e più sali e più vedi
al di sotto le case
restringersi intorno
alla vecchia Matrice
E' mia quella piazza
solcata da rondini in volo
con le tonde panchine di ferro
dove i vecchi si rubano il sole
E' mio quell'angolo quieto
del camposanto barocco
dal quale mio padre
ancora mi parla
di guerre passate
di bombe di fame
di pane e cipolle
E' mia questa gioia
condita di pena
che ogni giorno
mi spiana la via
Se memoria è dolore
anche il cardo ha il suo fiore.

dalla silloge "Finchè avrò memoria" di Paolina Messina

mercoledì 2 dicembre 2009

Marc Chagall a Pisa


fino al 17.I.2010
Marc Chagall
Pisa, Palazzo Blu
La tavolozza si rigenera in una cromia più squillante. Un uomo capace d’immergersi nell’atmosfera di un territorio lontano da quello delle proprie origini. È la storia di Chagall, uno dei più grandi artisti russi del Novecento.

“Sto molto bene con voi tutti. Ma... avete sentito parlare delle tradizioni, di Aix, del pittore che si tagliò l’orecchio, di cubi, di quadrati, di Parigi? Vitebsk, ti abbandono. Restate soli con le vostre aringhe!”.
Sono le parole che Marc Chagall (Vitebsk, 1887 - Saint-Paul-de-Vence, 1985) o, meglio, Moishe Segal pronunciò nei primi anni ‘20 quando, incantato dai paesaggi mediterranei, diede inizio a una rivoluzione nel suo fare artistico, sia da un punto di vista cromatico che luministico.
Le opere esposte a Pisa lasciano intuire l’intensa relazione fra ciò che l’artista produceva e i viaggi intrapresi, non tanto perché avesse la necessità di prendere spunto dalla realtà, quanto per la sua capacità di percepire nella propria intimità la forza evocatrice delle atmosfere che permeano un determinato luogo.
Lo dimostrano bene le guazze preparatorie delle incisioni stampate all’interno dell’edizione Tériade della Bibbia (1931), nelle quali la gamma cromatica è derivata da quadri volutamente paesaggistici come Gerusalemme (il Muro del pianto), eseguito durante un viaggio in Palestina. Situazione che si percepisce anche nella gouache su carta del 1927 intitolata La Volpe e l’Uva, facente parte di una serie di lavori preparatori per le incisioni delle Fiabe di La Fontaine, pubblicate ancora una volta dall’editore greco. In essa le vibrazioni luministiche derivano dalla lucentezza dei paesaggi della Costa Azzurra,in cui Chagall decise di trasferirsi definitivamente nel 1950.
È in tale regione della Francia che l’artista adottò una tavolozza dalle tonalità squillanti, unita comunque alla tradizione chassidica importata dalla Bielorussia, che influenzava di joie de vivre ogni tematica affrontata. Fondamentale per continuare quest’arte, che Chagall stesso definiva “mercurio fiammeggiante”, furono i viaggi in Grecia del ’52 e del ’54.
Il legame forte che lega Chagall a questi luoghi, soprattutto la Costa Azzurra, è rimarcato dal racconto di sua nipote Meret Meyer - curatrice della mostra insieme a Claudia Beltramo Ceppi - la quale descrive suo nonno intento ad accarezzare la terra usata per modellare, affinché percepisse la potenza luministica che essa conteneva.
La mostra allestita a Palazzo Blu conferma il notevole valore del periodo successivo a Vitebsk nell’elaborazione pittorica di Chagall, che si fonde oltretutto con il tradizionale legame fra artisti russi e Mediterraneo, come nel caso di Lev Bakst o Valentin Serov.
francesco funghi
mostra visitata l’8 ottobre 2009

Sono fortemente attratta dalla pittura di Chagall, dai colori, dall'uso delle linee che mi ricordano, talvolta, l'immaginario e il disegno infantile.
Che peccato non essere a Pisa!