domenica 20 settembre 2009

Avviso ai naviganti!



Sono nei guai! Dal mio ultimo post é "scomparsa" la dicitura commenti così dovete darmi il tempo di risolvere il problema.
Per ora un caro saluto a tutti. Sono a pezzi, ma non dispero.

Storie maledette




"In onda sabato 19 settembre alle 23.25 sul terzo canale della RAI.
Secondo appuntamento di Storie Maledette, il programma ideato, scritto e condotto da Franca Leosini. Al centro di questa seconda puntata una tematica di stretta attualità: l’integrazione nella nostra società di immigrati provenienti da Paesi e culture lontane. Franca Leosini incontra Mohammed Lhasni, operaio marocchino di 52 anni, in Italia da più di 20, che la notte del 24 settembre 2004 uccide nella sua casa di Grantorto, a 20 chilometri da Padova, la diciottenne figlia Kaoutar. “Colpa” di Kaoutar quella di amare un giovane marocchino, pur essendo stata promessa in sposa dal padre a un giovanotto nel Paese di origine.

Un dramma sconvolgente l'omicidio, per mano del padre, della bella e innocente Kaoutar; una tragedia che fa riflettere, anche perchè vicenda emblematica delle difficoltà per gli immigrati di integrarsi, di conciliare cultura e tradizioni dei Paesi d'origine con quelli della nostra Terra che li ospita."
da rai.it

Quanto sopra una sintesi del terribile fatto di cronaca che ha evidenti analogie con quanto avvenuto recentemente a Pordenone: vittime due giovani donne, Kaoutar e Sanaa, carnefici due padri, entrambi originari del Marocco.
Simili le motivazioni addotte dai padri: una figlia non é libera di innamorarsi, di nutrire sogni o aspirazioni, non può decidere della sua vita che appartiene al padre, come al padre-padrone appartiengono la moglie e ogni figlio, con una piccola discriminante, ai "maschi" viene concessa una qualche forma di autonomia, perfino il diritto di provare a difendere sorelle e madri.
Ho voluto guardare negli occhi, con gli occhi di una telecamera, un uomo che fino alla fine ha continuato a sostenere di essere innocente, e ha seguitato ad asserire che lui la sua Kaoutar l'amava davvero...
Sono rimasta allibita, e notevolmente sconvolta.
L'uomo è stato condannato, con il rito abbreviato, a quindici anni di carcere.
La sua famiglia lo attende nella casa di Grantorto, vicino Padova. Moglie e figli hanno dichiarato alle telecamere che il padre aveva giustamente "salvaguardato" l'onore della famiglia! Per la disgraziata Kaoutar neanche una parola.
Mi sono resa conto che l'integrazione è spesso una missione impossibile...non si può pensare di cambiare menti e cuori che si sono formati in culture che poggiano su tradizioni e convinzioni consolidate, e tuttora più che mai "vitali" in paesi lontani.
Cosa fare oltre ad accogliere, rispettare, non discriminare né per il colore della pelle o tantomeno per la Religione?
Cosa significa "integrazione" per chi arriva nel nostro paese?
Quante Sanaa e Kaoutar dovranno ancora pagare per la loro sventura di essere figlie e donne "prigioniere" di uomini che non sanno rinunciare ai loro convincimenti più radicati?
Sono in cerca di risposte, addolorata e confusa più che mai.e.b.

mercoledì 9 settembre 2009

Francesco Lotoro: l'uomo che gira intorno al mondo per ricostruire la musica dei Lager

E' il titolo di un interessantissimo articolo-intervista di Beppe Sebaste riportato dal Venerdì di Repubblica del 4 settembre u.s.

Francesco Lotoro, il pianista che salva e riporta all'aria la musica sommersa dai lager
Come sarebbe la musica contemporanea senza la scomparsa di gran parte dell’intelligentia musicale ebraica d'Europa nei lager nazisti? Prima di morire di stenti o nelle camere a gas, molti continuarono a comporre musica, addirittura a suonarla. Sono perdute per sempre le opere composte lì, nell’inferno? Ma soprattutto: davvero è stato possibile fare musica nei campi di concentramento?
La risposta all’ultima domanda è sì. Qualcuno, da vent’anni, dedica la propria vita a salvare quelle musiche sommerse, al limite dell’indecifrabile, come la carta igienica scritta a pentagramma con la carbonella su cui Rudolf Karel, già allievo di Dvorak, scrisse un “Nonet”, partitura per nove strumenti, poco prima di morire di dissenteria. A scovare musica con passione da archeologo, farla evadere dalla damnatio memoriae, interpretarla come filologo e registrarla su disco, cioè “restituirla all’aria, così come deve vivere la musica”, è un pianista e ricercatore di Puglia, Francesco Lotoro.
Ha studiato a Budapest con Kornel Zempleni, si è perfezionato con maestri come Aldo Ciccolini, insegna al Conservatorio di Rodi Garganico, dirige l’Orchestra Musica Judaica ed è responsabile culturale dell’antica sinagoga Scolanova di Trani, da poco ripristinata nello splendido centro sull'Adriatico famoso per la bianca cattedrale. Se il 6 settembre la Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata alle feste e tradizioni ebraiche, musiche comprese, avrà come città capofila proprio Trani, e nello stesso periodo si svolgerà un Festival della cultura ebraica in tutta la Puglia, forse tra le ragioni della scelta c’è anche l’attività di Francesco Lotoro. Il quale, oltre alla passione musicale, ha contribuito al risveglio dell’identità ebraica in Puglia, che ebbe a Trani una florida e colta comunità dal X secolo alla cacciata degli Ebrei nel 1541. Far rivivere l’ebraismo dimenticato, e salvare ciò che è sepolto o nascosto come ricercatore musicale, hanno per Lotoro molte analogie. Si chiama Enciclopedia della Musica Concentrazionaria (la musica composta nei campi di concentramento tra il 1933 e il 1945), il lavoro di incisione e pubblicazione che sta portando avanti da anni senza sovvenzioni con l’etichetta KZ Musik, e il cui piano dell’opera prevedere 48 volumi-CD. Tutto questo avviene in Puglia, non a New York. Un lavoro paziente e quasi in solitudine.
Come ha avuto inizio la sua ricerca?
"Ero a Praga nel 1990/91, e mi colpì la coincidenza della data di morte di tanti compositori, 17 ottobre 1944: Pavel Haas, Viktor Ullmann (entrambi della scuola di Schoenberg) e tanti altri finiti nelle camere a gas. Ma anche morti per altri motivi, come Gideon Klein, Rudolf Karel, Zikmund Schul, Emile Goué... Pensavo di trovare una decina di opere musicali, e oggi la mia ricerca ha inventariato 4000 partiture nate nei campi. Raccolgo e registro opere musicali composte in ogni tipo di lager, anche quelle dei non ebrei, dai politici ai Sinti e ai Rom, dai preti cattolici ai quaccheri, Messe, opere di cabaret e canti di lotta, come la Sinfonia n. 8 di Erwin Schulhoff ispirato al Manifesto del Partito Comunista, vero e proprio Oratorio laico. La fenomenologia musicale concentrazionaria è molto complessa, scritta nelle condizioni più tragiche e sopravvissuta fino a noi in modi desueti da luoghi in cui è tuttora impensabile che sia stato possibile fare musica."
E' infatti sorprendente...
"Nei campi di concentramento come Theresienstadt, preambolo a quelli di sterminio, la musica era usata come elemento di distensione e ricreazione, controllata ma assecondata, perfino con la fornitura di strumenti musicali e di carta da musica. Il campo di sterminio è diverso, si arriva per essere eliminati fisicamente dopo una rapida selezione (il cantante Karel Berman si salvò dicendosi operaio). Noi conserviamo traccia di questa musica grazie a un elemento inconsueto, la memoria: melodie nascevano sui treni da Salonicco, perfino nei tragitti che portavano alle camere a gas, e in un modo o nell’altro ci sono pervenute, immagazzinate nella mente dei sopravvissuti o testimoni”.
E' la magia, il potere della testimonianza...
“Sì, e della memoria. A volte le si dà un significato labile, ma nelle persone che ho incontrato ho trovato quasi sempre una memoria limpida. Questo patrimonio fa parte del vissuto musicale, anche senza carta. C’erano musicisti preposti all’intrattenimento musicale degli ufficiali che hanno arrangiato pezzi di Mozart o di Wagner, e ci sono pervenuti. Da Auschwitz e Birkenau ci sono arrivate partiture, altre si sono perse. Anche nei campi di sterminio si compose musica. Zimon Laks, polacco emigrato a Parigi, poi deportato, fece musica in un blocco a Birkenau vedendo la fila di chi andava nelle camere a gas. Perse là tutte le carte, e ricostruì a memoria solo tre “Polonaises” che arrangiò per quartetto d’archi. La cosa drammatica è che anche i sopravvissuti stanno scomparendo, e che quando ho avviato questa ricerca molti non ho potuto incontrarli."
Come si svolge il suo lavoro di ricerca?
“La musica vive nell’aria, se io trovo la carta, non ho trovato tutta la musica. Se trovo un dipinto, una scultura, ho trovato l’opera d’arte. La musica deve passare dalla carta all’aria, e poi ancora alla carta. Occorre decifrare la grafia, spesso al limite della scarabocchio, vedere in uno sgorbio un diesis, leggere i segni grafici della cattività. Ho passato notti a studiarla. Oppure devo andare a trovare il sopravvissuto che vive per esempio a Gerusalemme, dopo averlo faticosamente cercato, perché mi canti al registratore tutto quello che ricorda, poi a casa lo riporto al computer, o alla carta. Io sono un ricercatore, un musicista, ma occorre ora qualcuno che curi un archivio di tutto questo materiale, troppo per le mie risorse”.
“Grazie a Dio funziona il passaparola, la solidarietà, e passa il messaggio che questa musica deve emergere, essere salvata. Penso sempre che, se questa musica non la suoniamo, rimane nel campo di concentramento. Se non possiamo suonarla in un concerto, almeno la registriamo. Faccio un lavoro gigantesco per restituire alla musica la sua normalità”.

Mi hanno colpito le parole: "La musica vive nell'aria...se trovo la carta non ho trovato tutta la musica..."

Un grazie a Beppe Sebaste e complimenti per il lavoro di ricerca che conduce Francesco Lotoro. Un invito ai miei amici a visitare il sito di Sebaste:http://beppesebaste.blogspot.com

sabato 5 settembre 2009

Ucciso in Salvador il regista della " Vida loca"



ESTERI Repubblica.it
Assassinato Christian Poveda fotoreporter franco-spagnolo
reso celebre dal film documentario "La vida loca"


Christian Poveda
Il fotografo e regista franco-spagnolo Christian Poveda è stato trovato morto vicino alla sua auto con quattro colpi di pistola in faccia in un'area che si chiama El Limòn vicino a Tonacatepeque, a nord della capitale del Salvador.
Un anno fa Poveda aveva girato un bellissimo film documentario, "La vida loca", sulle maras, le bande di giovani assassini che infestano il Centro America. Proprio una delle maras più forti del Salvador, la M-18, controlla la zona del Limòn e la polizia non esclude che l'omicidio di Poveda abbia a che fare con le sue inchieste e il suo documentario. Prima di essere ucciso il fotoreporter, 54 anni, aveva girato nuove immagini e stava rientrando nella capitale.

Poveda era nato in Algeria nel 1955 da genitori spagnoli fuggiti in esilio dalla dittatura franchista. Cresciuto a Parigi era arrivato in Salvador giovanissimo, trent'anni fa, grazie ad un contratto con Time, il newsmagazine americano, per seguire come fotografo la guerra civile. Dopo il '92, quando la guerriglia del Farabundo Martì - oggi al governo - iniziò le trattative di pace, Poveda lasciò il paese per documentare nuove guerre: dall'Iran, all'Iraq, al Libano; pubblicando le sue foto nei maggiori giornali internazionali come El Pais, Le Monde, Paris Match e New York Times.

Qualche anno fa Poveda era tornato a stabilirsi in Salvador e a lavorare sul fenomeno della criminalità giovanile. Il film La vida loca, in gran parte girato nel sobborgo della Campanera, documenta l'estrema violenza di queste bande di giovanissimi - l'iniziazione avviene intorno ai dodici massimo tredici anni - che spacciano droga e dominano il contrabbando, ma è molto critico anche verso la polizia e l'atteggiamento super repressivo dello Stato.

Le bande criminali giovanili come la M-18 o la Salvatrucha (o M-13), le due più grandi del Salvador, nascono negli anni Ottanta tra i ragazzi delle comunità di immigrati ispanici di Los Angeles. Negli anni Novanta il fenomeno si estende in Centroamericana grazie ad una legge che consente al governo americano di rispedire nei paesi d'origine piccoli e grandi criminali dopo che hanno scontato la loro condanna negli Usa. Fu così che i giovani capi gang di Los Angeles rimpatriati in Salvador formarono le nuove bande per gestire droga e contrabbando. Il fenomeno è esploso in America centrale negli ultimi dieci anni ed oggi si calcola che l'esercito delle gang sia composto da un numero di membri che varia dai 30 ai 50 mila.
(4 settembre 2009)

«Dobbiamo capire perché un ragazzino di 12-13 anni aderisce ad una gang e gli consegna la sua vita», aveva detto Poveda in una recente intervista con El Faro, un quotidiano salvadoregno online. «I ragazzini che hanno drammatici problemi in famiglia o vengono da situazioni di povertà non hanno genitori che si possano occupare di loro».da Il Mattino.it

Le parole di Poveda mi appaiono di triste attualità anche per ciò che avviene nel nostro Paese. Anche noi dobbiamo "capire" e le Istituzioni dovrebbero interrogarsi su certi fenomeni che sono sempre espressione di un profondo disagio sociale che non si può sottovalutare.

giovedì 3 settembre 2009

L'ostaggio di Eleonora Bernardi


L’ostaggio

Ancora un po’ e il treno sarebbe entrato in stazione.
E’ incredibile, pensò, con quanta facilità sono riuscita a staccarmi dal mio mondo, dai problemi, e anche l'ansia che solo stamattina mi stringeva nella sua morsa, che fine ha fatto?
Si sentiva calma, leggermente strana, come chi si trova a recitare una parte e a godere del raro privilegio di potersi osservare con gli occhi di uno spettatore... così mise a fuoco i passeggeri, i compagni con i quali aveva spartito le ore del viaggio, dei quali aveva ascoltato le storie... ecco l'anziana signora che andava a raggiungere sua figlia, il giovane che tornava a casa, in licenza, l'uomo d'affari che aveva rinunciato a consultare i suoi incartamenti per prendere parte alla conversazione.
Tutti personaggi di una breve rappresentazione che stava per aver termine, dal momento che ognuno si apprestava a scendere.
Di lei sapevano che aveva trovato il coraggio di partire, che era ansiosa di ritrovare la sua amica per trascorrere insieme una breve vacanza, quello che non immaginavano era la cospicua dose di tranquillante che aveva ingurgitato, la stessa che le aveva disteso il sorriso e acceso la luce negli occhi.
- Complimenti! Sembra più giovane della sua età!
L'aveva detto qualcuno, e lei subito si era sentita una ragazzina, si era vista giovane, incosciente e piena di vita.
Comunque era andato tutto a meraviglia. Sarebbe arrivata in tempo utile per prendere la corriera, e poi finalmente i monti... e Arlette! Cinque lunghi giorni con Arlette! Da sole, senza mariti... (quello di lei), senza orari e senza legami. Un sogno!
Arlette l'attendeva sulla soglia della sua nuova casa di montagna.
Era proprio tutto come aveva immaginato, un quadro che avevano dipinto insieme per lungo tempo, una pennellata qua e là perchè ogni cosa fosse perfetta.
Sullo sfondo le montagne, al centro loro due strette in un abbraccio senza parole. Intorno il silenzio e una luce piena di gioia.
- Ce l'hai fatta! Ce l'hai fatta!
- Sì! Sì! Ridendo.
Le parole e i racconti potevano aspettare.
- Entra, mettiti comoda! Ti piace la cucina? E il saloncino? Guarda le stanze... questa è la tua!
- Mi piace tutto! Davvero! Ma ora vado in bagno, un attimo, mi do una rinfrescata.
- Io intanto ti preparo un caffè, va bene? (La voce arrivava dal piano di sotto).
-Benissimo, grazie.
Una rapida occhiata allo specchio: sembrava proprio un'altra persona.
Nella pausa-caffè domande e risposte, a raffica.
- Ma “lui” è fuori?
- Sì, torna domenica.
- Lo sa che sono qui?
- No, oggi no, ma sa che saresti venuta, per questo è partito tranquillo...poi lo chiamiamo.
Arlette decide che l'amica è stanca, che dovrebbe riposare, lei pensa che l'effetto del calmante “perduri” visto che comincia a sentire una leggera sonnolenza.
Arlette insiste, e aggiunge che andrà a sbrigare una commissione con una vicina, roba di una mezzora, poi le racconterà.
- Tu intanto ti riposi, o ti guardi intorno... prendi nota degli errori!
- Errori? Non ne vedo...Vai, e torna presto!
Arlette è già andata, la porta si chiude con un piccolo scatto.
Si fa una rapida doccia, non le va di dormire. Si dedica alla ricognizione della libreria. Ecco i libri di Arlette, i “loro libri”: ci sono quasi tutti.
Sul divano un nuovo romanzo. Parla di un rapimento... in Afganistan, terra di banditi!
Si distende a leggere, la storia la cattura sin dalle prime righe.
Si ritrova con una mano premuta sul volto, davanti due occhi neri che la trafiggono e una voce:
- Zitta! Fai quello che dico e non ti succederà niente!
Si agita come una serpe, ma qualcuno la solleva come un fuscello e la porta via, sono in due, uno è in attesa al volante di una macchina e manco si volta, l'altro la stringe a sè come avesse tra le mani un sacchetto... S’infila in macchina, la tiene tra le braccia con aria di possesso.
- Stai calma, ché non ti succede niente!
(Sta dormendo, se ne vuole convincere...)
La macchina si avvia velocemente, senza rumore. Vede scorrere alberi e case, poche, e la testa di chi guida, un berretto e occhiali scuri.
Il suo padrone puzza, ha un odore acido insopportabile, lei si sente ancora tutta bagnata, e poi ha perso gli occhiali, come farà a leggere?
Viaggiano per un tempo interminabile, pensa ad Arlette che non la troverà al suo ritorno e sarà disperata...Si mette a piangere con singhiozzi convulsi.
- Falla smettere! Sennò ci penso io!
E' la voce di chi guida, la colpisce l’italiano perfetto, senza accento.
Niente più case, solo alberi e montagne, poi sono arrivati.
Questa volta la porta in braccio come una bambina, o come una sposa, entrano.
La baita è di legno annerito impregnato di cento odori, su tutti prevale il fumo stantio e l'unto della sporcizia.
Le libera il volto dalla manaccia e l'adagia su una specie di branda.
Lei salta su, come un cobra... è così che si sente, invece il cobra è negli occhi dell'uomo, tondi, neri e minacciosi.
- Ecco, qui puoi strillare quanto vuoi, non ti sente nessuno!
L'amico è fuori che traffica intorno alla macchina.
- Chi siete? Che volete?
-Soldi, solo soldi! Tuo marito pagherà e tornerai a casa! Dipende da lui...
Pensa velocemente: -Mio marito? Quale marito? Solo Arlette ha il marito.
In un lampo si dice:- Questi sono capaci di andare a prendere anche Arlette, oppure visto che...la faranno sparire!
Pensano che lei sia Arlette, bene! Glielo lascerà credere...che chiedano pure il riscatto, intanto Arlette avrà già trovato i suoi occhiali, il libro...avrà capito tutto e messo in moto ogni cosa!
-Ho sonno, risponde - Tanto sonno!
- Meglio così. Ma non cercare di scappare!
Il brutto ceffo si allontana chiudendo a chiave la porta.
Lei piomba nell'oscurità della baita e della coscienza. Evviva i tranquillanti! Dio li benedica!

Si risveglia al rumore delle stoviglie con lo stomaco che si contorce dalla fame, intorno aleggia un delizioso profumo di buon cibo.
Arlette le è accanto con i suoi occhi ridenti e il viso cosparso di puntini dorati..le sue lenticchie!
- Hai dormito un bel po’! Forza, pigrona, vieni a mangiare!
- Io...Tu...
Non riesce a parlare. Il libro è lì, gli occhiali pure.
Afganistan…
Forse, dopotutto, ha dormito davvero.