sabato 31 gennaio 2009

La Foresta dei Giusti




C'è un albero per ogni uomo che ha scelto il bene.
Chi sono i GIUSTI?
Il termine Giusto è tratto dal passo della Bibbia che afferma "chi salva una vita salva il mondo intero" ed è stato applicato per la prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto di Giusto è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e per estensione a tutti coloro che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell'uomo nelle situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la memoria contro i ricorrenti tentativi di negare la realtà delle persecuzioni.

La nascita del COMITATO PER LA FORESTA DEI GIUSTI
Il Comitato per la Foresta dei Giusti ha iniziato a operare a Milano nel 1999 e si è costituito ufficialmente nel 2001. E' presieduto da Gabriele Nissim, storico e autore di libri sull'argomento (Ebrei Invisibili, L'uomo che fermò Hitler, Il Tribunale del Bene, Una bambina contro Stalin) e tra i soci fondatori vi è Pietro Kuciukian, presidente del Comitato Internazionale dei Giusti per gli Armeni e membro dell'Unione degli Armeni d'Italia, autore di libri sul genocidio armeno e sui Giusti per gli Armeni (Le terre di Nairi, Dispersi, Voci nel deserto), console onorario d'Armenia in Italia.
A Sarajevo è stata fondata Gariwosa, la sezione del Comitato per la Bosnia-Erzegovina (Gardens of the Righteous Worldwide Sarajevo), presieduta da Svetlana Broz, autrice del libro I Giusti nel tempo del male.
L'intento del Comitato è di accrescere e approfondire la conoscenza e l'interesse sui Giusti.

In particolare promuovendo:

- la costituzione di luoghi della memoria (piccole "foreste" in diverse parti del mondo teatro di genocidi, stermini di massa, crimini contro l'umanità avvenuti nel XX secolo) in cui siano piantati degli alberi simbolicamente riferiti ai Giusti, sull'esempio del Giardino dei Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme;

-l'istituzione di premi da assegnare a chi si sia distinto sul tema dei giusti (con un'azione specifica o con una presa di posizione di salvaguardia della memoria);

- la riflessione sull'esperienza del giusto di fronte ai genocidi del '900 sia a livello storico che filosofico e giuridico, attraverso varie attività culturali: convegni con i maggiori studiosi a livello internazionale, dibattiti, presentazione di libri, saggi, ricerche, documentari, divulgazione nelle scuole, pubblicazione di materiali;

- coinvolgimento delle istituzioni locali, nazionali e internazionali;

- sviluppo di un sito internet con raccolta di documentazione, interventi e collegamenti con altri siti.

Attività
Dopo l'istituzione di un Giardino dei Giusti in alcuni luoghi-simbolo, come Yerevan, in Armenia, e la proposta per Sarajevo, il Comitato ha coinvolto il Comune di Milano nella creazione di un Giardino dei Giusti che ricordasse coloro che si sono opposti ai genocidi in ogni parte della terra e che ancora oggi si oppongono ai crimini contro l'umanità ovunque siano perpetrati. E' nato così, il 24 gennaio del 2003, il primo Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella e nel novembre 2008 si è costituita l'associazione per la gestione del giardino, composta dal Comitato insieme al Comune di Milano e all'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Nel frattempo sono sorti giardini e altri spazi dedicati ai giusti in ogni parte d'Italia, come a Palermo, Padova, Torino, Linguaglossa, Levico Terme.


Nel dicembre 2000 abbiamo organizzato a Padova, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura e all'Università, il primo convegno internazionale sul tema dei giusti, dal titolo Si può sempre dire un sì o un no. I Giusti contro i genocidi degli Armeni e degli Ebrei, che ha confrontato le vicende legate allo stermino del popolo armeno in Turchia nel 1915-16, con l'unica elaborazione finora sviluppata sull'argomento, quella della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, legata alla Shoah.

Nel dicembre 2003 abbiamo organizzato a Milano il convegno internazionale I Giusti nel Gulag. Il valore della resistenza morale al totalitarismo sovietico, con una sezione interamente dedicata alle vittime italiane, che ha visto la partecipazione dei maggiori esponenti del dissenso di quegli anni in URSS e dei protagonisti del dibattito in Italia. A tale convegno è seguita la dedica di un albero del Giardino dei Giusti di tutto il mondo ad Andrej Sacharov e, nel novembre 2005, l'intitolazione del Parco Valsesia alle vittime italiane dello stalinismo. Nel giugno 2008 una delegazione del Comitato, con a capo Gabriele Nissim, si è recata a S. Pietroburgo, nel Cimitero Memoriale di Levashovo, che ricorda le vittime delle persecuzioni isovietiche, per inaugurare una stele dedicata agli italiani, alla presenza delle massime autorità dei due Paesi.

Nel corso degli anni abbiamo organizzato dibattiti, presentazioni di libri e seminari con gli studenti, come il ciclo di incontri alla Casa Armena di Milano con alcune figure esemplari sulla loro esperienza di resistenza morale: il console Antonio Costa in Rwanda, il professore Jurij Malcev nel GULag, l'editore Ragip Zarakolu in Turchia, l'avvocato Mehrangiz Kar in Iran.
Alla Casa della Cultura abbiamo presentato, tra gli altri, il libro di Pietro Kuciukian Voci nel deserto e chiamato Khaled Fouad Allam a parlare dei rapporti tra Islam e Occidente. All'Università Bicocca di Milano è intervenuta Svetlana Broz da Sarajevo sulla sua battaglia per la memoria e la riconciliazione in Bosnia, mentre a Bologna ogni anno si svolge il convegno conclusivo del lavoro delle scuole aderenti alla rete "Storia e memoria" sul progetto didattico riguardante i Giusti nella storia del Novecento, a cui il Comitato fornisce il supporto scientifico e logistico.
In tutta Italia organizziamo le presentazioni dei libri di Gabriele Nissim che ruotano intorno al tema dei Giusti, per i quali siamo stati ricevuti a Roma dal Presidente della Repubblica e alla Camera dei Deputati, e a Strasburgo dal Parlamento Europeo.

Il sito Gariwo http://gariwo.net
È lo strumento principale del Comitato per diffondere il tema dei Giusti e le figure esemplari spesso rimaste sconosciute. Prende il nome dall'acronimo della versione inglese del Comitato (Gardens of the Righteous Worldwide) e comprende una versione in italiano e una in inglese, più ridotta, riferita agli avvenimenti, iniziative e materiali di maggior interesse internazionale.
Sul sito si trovano tutti i riferimenti alla nostra attività, nella sezione Eventi, oltre alla raccolta di materiale documentario, biografie, articoli, relazioni, mostre, recensioni di libri e film, video, link, percorsi didattici, riflessioni e approfondimenti.

sabato 24 gennaio 2009

Ci manchi...Paolina!


Di rado scorro i vecchi post. Oggi pensando a Paolina Messina ho riletto le sue poesie e ho scoperto un commento, bello e sentito di Annamaria Ismesi al quale non avevo dato riscontro.
Chiedo scusa ad Annamaria, riporto le sue parole perchè giunga a Paolina l'affetto di chi l'ha conosciuta e di chi come me conosce solo le sue poesie e ha imparato ad amarla.

"Anch'io desidero ricordare i versi di Paolina, freschi come acqua di sorgente e puri come una preghiera,delicati manifestazione di un'anima meravigliosa.Semplice e vera ,appassionata e struggente appare la nostalgia tra vecchi muri di case e scale antiche dove pero' un giorno il cuore ha riso e giocato ,amato e pianto.
Nuvole terse di ricordi , saggezza preziosa e la consapevolezza di un tempo perduto, vivono nella dolcezza sinuosa di una poesia
creativa e originale ,schietta e lirica al tempo stesso.
Ciao Paolina ,insieme a Pina che ti ha descritto con tanto amore,un saluto.
Mi manchi AnnaMaria"
08 gennaio, 2009 22:48

Gerusalemme di Paolina Messina

Le mura di cinta
come una corona
Sei apparsa all'improvviso
dopo una curva
all'uscita dal deserto
lassù sull'altopiano
nel tuo regale isolamento
Le case bianche
i muri a secco
gli uliveti sparsi
sulle colline pietrose
Immagini stranamente familiari
di quel mio paese solitario
lassù sugli Iblei
Un sogno inespresso eri
la perla che il mare
porta a galla
dopo tanto inutile agitarsi
Ti aspettavo da sempre Gerusalemme
Qui tutto è successo
Ora so perchè il tuo nome
sulla bocca dei profeti
era sospiro spasimo
lamento invocazione
La cupola verdeoro
sulla spianata della discordia
è un sole che brilla
Miraggio di pace
nei deserti del cuore.

lunedì 19 gennaio 2009

Il violoncellista di Sarayevo


Il violoncellista di Sarayevo di Steven Galloway

E’ il titolo di un libro letto qualche tempo fa. Mi è venuto in mente in modo inaspettato, stamattina, al risveglio, in quella fase di consapevolezza ottusa nella quale ancora non sai cosa vuoi fare veramente, alzarti, o provare a chiudere gli occhi e sperare di dormire ancora un po’?
Mentre tu provi a decidere per un futuro immediato i pensieri corrono, saltano, si aggrovigliano, si arrampicano, sgomitano per imporsi, finchè non capita un flash: un’immagine, l’eco di parole scambiate, un desiderio, un ricordo, il titolo di un libro.
Ti accorgi che non hai deciso niente, ti ritrovi a cercare il libro che ti era piaciuto, a scorrerne le pagine, a ricordare, e capire che la mente collega fatti e storie in forma autonoma, ma sempre coerente.

Siamo a Sarayevo, una città assediata e la gente fa la fila al mercato per comprare il pane. Un colpo di mortaio si abbatte sulla folla e uccide 22 persone.
Il violoncellista dell’orchestra cittadina, Svedran Smailovic, decide che ogni giorno, per 22 giorni, siederà nel luogo della strage per commemorare le vittime innocenti.
Per 22 giorni con il suo strumento suonerà l’Adagio di Albinoni, sfidando i colpi dei cecchini appostati ogni dove.
Intorno a questa immagine commovente, posta al centro di una città martoriata, si snodano le vicende dei tre protagonisti del romanzo che devono fare i conti con la presenza costante della paura e della morte, mentre il vivere quotidiano li costringe a inevitabili compromessi che rischiano di spegnere, anche in loro, ogni residuo di umanità.
Sarà proprio la caparbietà del violoncellista, il potere ammaliante della musica, che li porterà a riscoprire il senso della vita, a comprendere che l’odio, anche in situazioni estreme, non è l’unica soluzione.

Steven Galloway è nato nel 1975 a Vancouver dove attualmente vive .
E’ autore di Finnie Walsh (romanzo d’esordio) e Ascensione (2004).

lunedì 12 gennaio 2009

Girotondo di Fabrizio De André



Bellissima serata quella di ieri proposta da "Che tempo che fa" sulla terza rete della RAI! Lo Speciale Fabrizio 2009 é stato un omaggio al grande cantautore a dieci anni dalla sua scomparsa. Per me l'occasione di riascoltare canzoni amate, vive nella memoria insieme ai ricordi più cari di una giovinezza passata. Fabrizio é stato un grande poeta, ogni sua canzone è una lirica da meditare, un messaggio da accogliere e tenere presente!
Grazie,Fabrizio!

Artista: Fabrizio De Andrè
Album: Tutti Morimmo A Stento
Titolo: Girotondo


Se verrà la guerra, Marcondiro'ndero
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?

Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.

La guerra è già scoppiata, Marcondiro'ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.

Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.

Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.

L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
l'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?

Ci salva l'aviatore che non lo farà
ci salva l'aviatore che la bomba non getterà.

La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?

La prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà

Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà.

Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?

Non potremo più giocare al Marcondiro'ndera
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà.

E voi a divertirvi andate un po' più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.

La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?

Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.

Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.

La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà.

Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...

venerdì 9 gennaio 2009

L'Amore


Frugando tra documenti "salvati" ho trovato una storiella che a suo tempo mi aveva colpito, mi piace ancora, in un momento della nostra Storia in cui la parola Amore può sembrare del tutto fuori luogo.

Il Punto -pubblicazione della Comunità San Martino al Campo di Trieste
Giugno 2006 numero 24

L'AMORE
A cura di Anonimo

C'era una volta un'isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: il Buon Umore, la Tristezza, il Sapere, così come tutti gli altri, incluso l'Amore.

Un giorno venne annunciato ai sentimenti che l'isola stava per sprofondare; allora prepararono tutte le loro barche e partirono.

Solo l'Amore volle aspettare fino all'ultimo momento.
Quando l'isola fu sul punto di sprofondare,l'Amore decise di chiedere aiuto.

La Ricchezza passò vicino all'Amore su una barca lussuosissima e l'Amore le disse: "Ricchezza, mi puoi portare con te?".

"Non posso, c'è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te".

L'Amore allora decise di chiedere all'Orgoglio, che stava passando su un magnifico vascello:
"Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?".
"Non ti posso aiutare, Amore" rispose l'Orgoglio, "qui è tutto perfetto, potresti rovinare la mia barca".

Allora, l'Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto:
"Tristezza ti prego, lasciami venire con te".

"Oh Amore" rispose la Tristezza, "sono così triste che ho bisogno di stare da sola".

Anche il Buon Umore passò di fianco all'Amore, ma era così contento che non sentì che lo stava chiamando.

All'improvviso una voce disse: "Vieni Amore, ti prendo con me".

Era un vecchio che aveva parlato.

L'Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio.

Quando arrivarono sulla terra ferma, il vecchio se ne andò. L'Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: "Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?".

"E' stato il Tempo" rispose il Sapere.

"Il Tempo?" s'interrogò l'Amore, "Perché mai il Tempo mi ha aiutato?".

Il Sapere pieno di saggezza rispose:
"Perché solo il Tempo e capace di comprendere quanto l'Amore sia importante nella vita"

© 2006-07 Comunità di San Martino al Campo - ONLUS

domenica 4 gennaio 2009

L'incanta-storie di E.Bernardi

Si chiamava Luigi Foresti e i bambini avevano cominciato a chiamarlo "incantastorie" quando li incontrava nelle scuole perchè faceva parte di un gruppo di animazione.
L'idea era venuta ad uno di loro, formarono una piccola cooperativa e, con il benestare del Comune, si misero a girare nelle scuole, per stimolare nei bambini e negli adulti la creatività, la riscoperta della fantasia, il potere del linguaggio, le innumerevoli forme espressive della comunicazione.
Marco era il capo, prendeva i contatti e organizzava gli interventi, Luca giocava con la forma delle cose e con i bambini creava oggetti fantastici, Lucilla era la "maga" dei colori, li distribuiva a piene mani perchè ognuno se ne rivestisse per diventare altro...
Federica era la "guardiana" del suono alla quale si poteva sottrarre di tutto (aveva una valigia piena di ogni cosa: oggetti tintinnanti, fruscianti, brontolanti..) per inventare suoni di gioia, di pianto, di libertà.
A lui, Luigi, era toccato il compito di cantastorie. Raccontava storie ai bambini inventandole al momento, col loro aiuto esse prendevano forma e contenuto, avevano un principio e poi una fine come tutto ciò che vive, senza che nessuno potesse farci più niente, insomma una storia andava per la sua strada, e se la strada era brutta non c'era molto da fare...però si poteva cominciare un'altra storia! Questa possibilità incantava i bambini.
Quando il gruppo si sciolse (per mancanza di fondi) ognuno prese la sua direzione.
Luigi rimase "fermo" per un pò, incalzato discretamente dai suoi che spiavano, con pazienza, i suoi movimenti.
Un giorno sentì che quell'amore paziente e discreto era troppo per lui, così raccolse le sue cose, i suoi sogni, le sue storie e partì. Si sarebbe guadagnato la vita raccontando...avrebbe "incantato" le storie, e tutti quelli che le avessero ascoltate.
Da subito, con la sua precaria seicento si tenne lontano dalle grandi città, sia quelle del centro che del nord,lì c'era ancora troppo benessere in giro perchè qualcuno avesse voglia di ascoltarlo.
Si diresse a sud, nei piccoli centri, dove tutto era piccolo, perfino le attese e le speranze.
Alla gente lui piaceva, appena arrivava godeva del pregio della novità e bambini e adulti gli si facevano intorno pieni di curiosa aspettativa...si presentava e guardando i loro visi cominciava una storia.
Nelle storie c'era tutto: l'amore, il dolore, l'inganno, ma anche la sorpresa, la gioia, la speranza...non chiedeva mai niente in cambio, per questo gli davano quello che potevano o volevano, a volte l'ospitalità intorno a un tavolo, altre il riposo di una notte.
Lui riprendeva il suo cammino lasciandosi guidare dal potere dei nomi, i nomi dei paesi.
Fu così che si ritrovò in Calabria, e un giorno dinanzi ad una freccia: per Calicò, frazione di Spezziali (?).
Gli venne da ridere, ma si inerpicò per una strada dissestata pensando, ad ogni scossone della macchina, che infine si sarebbe presentato a Calicò a piedi, e a mani nude, come San Francesco, ma con ben altro carisma...
Arrivò col motore ormai fumante sulla piazza del paese, si era mai vista una strada di montagna che finisce direttamente su una piazza?
Al centro una fontana (asciutta), intorno vecchie case con le imposte accostate a respingere la calura del primo pomeriggio...e poi silenzio...nessuna traccia di vita.
Nessuno a cui chiedere, nessuno da incantare!
Tre o quattro stradine si facevano largo tra le case per disperdersi in direzioni diverse, nessuna percorribile con l'automobile, tranne una con l'indicazione scritta a mano, e sbiadita per giunta: Spezziali.
Apparentemente tutta in discesa, come una specie di beffa!(Se vuoi arrivarci devi prima salire...).
Si decise per una breve esplorazione: da una parte boschi digradanti, da un'altra un piccolo pianoro con appezzamenti aridi e qualche casupola...ma i bambini, dove sono i bambini? La breve discesa, finiva presso una chiesa che aveva accanto, a mo' di appendice, un piccolo, vecchio cimitero.
Se c'era la chiesa doveva esserci un prete. Con quattro salti la raggiunse.
La porta accostata si aprì con un timoroso cigolio per rivelare una dolce, polverosa frescura. Sei panche e un altare sul quale campeggiava un Crocifisso di gesso. Gli occhi del Cristo erano socchiusi, come avviene ai vecchi quando già dormono. l'espressione serena era quella di un Uomo che ha sopportato di tutto e ha bisogno di un riposo infinito.
Si inginocchiò vergognandosi di essere entrato per cercare il prete, gli sembrò che quel crocifisso avesse le risposte a tutte le sue domande, sulla sua vita, su Calicò e la sua gente, sul senso delle sue storie...Tutto era lì in quel Viso...in quegli occhi!
Si presentò, senza mentire, nel silenzio del suo cuore.
Poi si riscosse al suono di una voce:- Benvenuto, figlio mio! E' il Signore che ti ha mandato!
Un vecchio prete era accanto a lui (aveva sentito tutto?) e lo invitava a seguirlo:- Prima devi mettere qualcosa nello stomaco, poi penseremo alle storie!

sabato 3 gennaio 2009

Poesia di Jolanda Catalano


Se fossi capace di cantare lo farei per Jolanda, se sapessi suonare accompagnerei il canto con le note, dolci e dolenti, di una chitarra...mi devo accontentare di trasmettere a chi ama la Poesia le emozioni, i turbamenti, i ricordi che agitano il mio cuore ogni volta che Iolanda ci fa dono di una sua lirica, permettendoci di "visitare" la sua immensa sensibilità.

Da Lettera a Due Madri Reggio Calabria,Città del Sole 2004

Madre di sangue, se scrivo questi versi,
è perché non si è interrotto il nostro dire.
Pensa a quel vecchio, madre, al vecchio padre
che per cinquant’anni ti restò vicino.
Vicino come mai fece un marito
almeno nei ricordi del mio tempo,
pensa ai suoi occhi che non hanno pace
e alla sua voce che non ha più parole.
Le fiabe che inventava per noi figlie
sono soltanto ricordi di un passato
quando anche tu eri a lui vicina
ed il suo amore per noi straripava
in lunghissimi fiumi di parole,
nenie, canzoni e sogni in fondo al mare.
Ma le favole sono volate dai suoi occhi
da quando la sua favola più bella
si è tramutata in sangue sul suo letto
e le nodose mani hanno perduto
la bianca pelle tua d’accarezzare.
Fagli odorare profumo di ginestra
quando in solitudine nell’orto
si reca a piangere in pace il suo dolore
e dice di vederti nel suo pianto.
Tu che gli stai accanto e lo consoli
e ancora gli parli come fossi viva.
Ed io ascolto e ascolto le parole
dei suoi racconti con te che sei volata
e non ho cuore per dirgli che la vita
è solo questo sogno che ci assale.

Una bella raccolta delle poesie di Iolanda Catalano è presente sulla Dimora del Tempo Sospeso, non perdetela!

giovedì 1 gennaio 2009

Un omaggio a Paolina Messina

Auguri di Buon Anno ad una grande poetessa alla quale va la mia ammirazione e il mio affetto.
La prefazione alle liriche è tratta dal sito "la poesia e lo spirito" .
Paolina Messina, Poesie
Posted by fabrizio centofanti on March 2, 2008


C’è un sentiero dalle infinite diramazioni nel mondo poetico di Paolina Messina. Un sentiero che la poetessa percorre ogni giorno, dove il ricordo, che non è mai sterile nostalgia, ma piuttosto memoria vigile e attenta, si nutre di un passato custodito fino allo spasimo. Ed è appunto dal passato che poi, in definitiva, si visualizzano altri sentieri, altri motivi di ispirazione.


Una poesia tenera come un delicato acquarello paesaggistico, quando i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza s’insinuano nel presente, attraverso la frantumazione spazio-temporale di un qualcosa che non è, ma è stato; un dipinto accorato dalle mille emozioni che vive nella memoria e attraverso la memoria si trasforma in case dirute o fiori che sbocciano quasi per miracolo da antiche fessure intristite dal tempo. Ma il dipinto, a volte, muta colore quando volti e immagini di affetti a lei cari, si perdono nell’ombra grigia della morte, in nomi da cancellare dalla propria agenda ma non dal proprio cuore. Ritratti affidati alla misericordia del tempo, tinteggiati dai veli personalissimi della memoria. Ma nel suo percorso umano e poetico, Paolina Messina racchiude e poi canta anche il dolore, testimonianza non solo del suo vissuto, sul quale la poetessa non indugia più di tanto, ma anche e con voce più ferma, di tutto il dolore che circonda e sovrasta un mondo dove Caino purtroppo non è solo passato, ma amaro presente che toglie ogni respiro.

La consapevolezza del male dunque, si muta in preghiera, in fede cristiana sentita e vissuta all’insegna di quella speranza di Luce che non dovrebbe mai abbandonare l’uomo, troppo spesso dimentico del vero significato dell’Amore.

Questa universalità di intenti ritorna nel verso che si snoda limpido e sobrio, oppure a volte forte e crudo e altre ancora caldo e soleggiato. Come se la poesia, trasfigurata e umanizzata, fosse essa stessa voce e scrittura, ispirazione e canto, dettato e inchiostro, nel labirinto magico e misterico delle parole.

*
Tra frantumi di case

Tra frantumi di case
vaga l’anima mia
In bianche mura di calce
si specchia
Il vecchio geranio
nella giara
mostra le antiche tenaci
radici
Da scale sgretolate
mi giunge
l’odore amaro della ruta

*

Paese mio

Sono rimasti gli oleandri
a sorridere nelle piazze
al sole dell’estate
Troppi amici ho perduto
per le vie di questo paese
dove le feste si inseguono
come i grani del rosario
Dov’è mai l’allegra compagnia

che le notti d’agosto
rinfrescava le angurie
nella gebbia di Fontanamurata?

*

Scale di casa mia

Questi gradini di pietra
spaccati dal sole e dalla pioggia
nido di lucertole
dove rigogliosa cresce
l’ostinata parietaria
sono lo specchio di morte stagioni
che la memoria devotamente
custodisce come un’immagine sacra
come l’orchidea rara
racchiusa
nella sua ampolla d’acqua.

*

Ad Antonino Uccello

Delicati
come le porcellane cinesi
erano i tuoi versi
Rincorrevi nel vento di marzo
il profumo della vita
che ti sfuggiva di mano
il baratro nero che ti colse
atteso e temuto
quel giorno d’ottobre.

*

Casa mia

Si insinua come il tarlo
lo sconforto
E’ nebbia di gennaio
il groviglio di pensieri
che mi affonda
In quale lontana galassia
sei
mia vecchia casa dell’infanzia
Balsamo che lenisce
il cigolio dolorante
dei tuoi cardini
e l’erba rigogliosa
che cresce sulle tue scale
consunte d’anni
e di memorie.

*

Teatro greco di Akrai

Su questi gradini di roccia
intrisi di storia
ascolto rapita
il silenzio delle pietre.

*

Viatico

Ritorna
la tua immagine gentile
nel ricordo di chi ti conobbe
Invano
passarono gli anni
a lenire un distacco
che sanguina ancora
E sei
nel profumo dei pini o madre
in questo cielo di agosto
traboccante di stelle
nella voce calda degli amici
viatico che consola
stasera sul colle ventoso
di Akrai.

Autunno

Spoglia la pergola
il vento di scirocco
Stillicidio di giorni
che volteggiano lenti
come i pampini secchi
E tu sai che non è
un addio provvisorio.

*

Estote parati

Se ne sono andati
in punta di piedi
senza bagaglio
alla spicciolata
Hanno accostato l’uscio
in silenzio
quasi a voler tornare
incontro a un altro giorno
ma chissà dove
Ho cancellato molti nomi
dalla mia rubrica telefonica
ed ogni taglio
è una ferita al cuore
Cancelleranno anche me
mi ripeto
e quel giorno è in agguato
lo so
Mi rincorre ed io tento
un’inutile fuga
A quanti angoli ancora
mi terrà inchiodata
col respiro mozzato
in attesa e come nel vecchio
gioco dell’infanzia
sarà liberazione
il grido della scoperta.

*

Al Crocifisso della Chiesa Cep

Almeno toglierti
quell’indegna polvere dal capo
mio Signore
e poi staccarti pian piano
le mani
dalla croce
e i piedi
e asciugarti
quei rivoli rossi
e coprirti
e abbracciarti
e tenerti stretto
per riscaldarti

Perdonami Maria
se di quel tuo martoriato figlio
mi sento madre anch’io.

*

Venerdì Santo

Dal nostro orto degli ulivi
sale incessante a te o Padre
il grido dell’abbandono
La nostra croce è
non voler credere
che Tu sei l’AMORE
nonostante tutto.

*

Gerusalemme

Le mura di cinta
come una corona
Sei apparsa all’improvviso
dopo una curva
all’uscita dal deserto
lassù sull’altopiano
nel tuo regale isolamento
Le case bianche
i muri a secco
gli uliveti sparsi
sulle colline pietrose
Immagini stranamente familiari
di quel mio paese solitario
lassù sugli Iblei
Un sogno inespresso eri
la perla che il mare
porta a galla
dopo tanto inutile agitarsi
Ti aspettavo da sempre Gerusalemme
Qui tutto è successo
Ora so perché il tuo nome
sulla bocca dei profeti
era sospiro spasimo
lamento invocazione
La cupola verdeoro
sulla spianata della discordia
è un sole che brilla
Miraggio di pace
nei deserti del cuore.

*

Forse un volo di rondini

Trascino la mia ombra
nella calura estiva
che la città rinserra
tra l’asfalto e il cemento
Pure i gabbiani disertano
questa marina sciroccosa
che di rado si acquieta
nel silenzio della sera
Forse un volo di rondini
a disperdere il tedio che mi assale
Forse un volo di rondini
Forse.

*

Preghiera

Quando sarò Signore
alle porte di quel tunnel
che mi separa dalla luce
ti prego
mandami incontro mia madre
E’ tanto che mi manca
che il suo volto l’ho smarrito
nelle nebbie dei ricordi
Ritroverò il suo
morbido abbraccio
quel suo odore che avida
cercavo tra le lenzuola
Basterà un attimo
a svuotare il fiume
di parole non dette
(per lungo tempo ha premuto
ai margini del cuore)
E tornerò bambina
a cercare la sua mano
la certezza di un amore
che non ebbe mai tramonto.

*

Allora

C’erano allora le lucciole
a punteggiare di luci
le notti d’estate
e piovevano schegge di stelle
in quel cielo d’agosto
così terso e a portata di mano
Lunghissimi giorni di sole
e sere mai sazie di giochi
tra case dirute
e vicoli immersi nel buio
Echi di voci mai spente
rimbalzano nella memoria
Inseguo con Proust
il mio lontanissimo
tempo perduto.

Luce Pace Amore di Alfred Edward Housman





LUCE, PACE, AMORE

di A.E Housman


La pace guardò in basso
e vide la guerra,
"Là voglio andare" disse la pace.

L'amore guardò in basso
e vide l'odio,
"Là voglio andare" disse l'amore.

La luce guardò in basso
e vide il buio,
"Là voglio andare" disse la luce.

Così apparve la luce
e risplendette.

Così apparve la pace
e offrì riposo.

Così apparve l'amore
e portò vita.

Questo è il mio sogno e il mio augurio per il nuovo anno!