sabato 26 dicembre 2009

Il mistero del Natale...in poesia!


Poesie di Natale (dedicate a Sante e Antonio- uniti nel mio cuore-)

Il mistero di Natale – L. Hausman

La Luce guardò in basso
e vide le Tenebre:
“Là voglio andare”
disse la Luce.
La Pace guardò in basso
e vide la Guerra:
“Là voglio andare”
disse la Pace.
L’Amore guardò in basso
e vide l’Odio:
“Là voglio andare”
disse l’Amore.
Così apparve la Luce
e risplendette.
Così apparve la Pace
e offrì riposo.
Così apparve l’Amore
e portò vita;
questo è il mistero del Natale.

E’ Natale – Madre Teresa di Calcutta

E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.


Prendi un sorriso – Gandhi

Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza,
e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà,
e donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore,
e fallo conoscere al mondo.


Natale 1990 Paolina Messina

Signore
se tornassi a nascere
in una bidonville del Cairo
o tra i grattacieli di New jork
non troveresti
né pastori né magi
per il tuo presepio.
Né luce di cometa
né cori di angeli
a scuotere
muri di indifferenza.
L’urlo di Abele
risuona ancora
in ogni angolo
della vecchia terra
e nuovi Erodi
sorridono alle telecamere
dai loro troni di sangue.

*****
Novena di Natale

E “lucean le stelle”
in quelle gelide mattine di dicembre.
I nostri passi leggeri
nel buio scolorito dell’alba.
“Introibo ad altare Dei”
“Ad Deum qui leatificat
iuventutem meam”
Nient’altro io chiedevo al Natale
che la magia di quella novena
scandita in latino
nella Matrice stipata d’incenso
gli occhi fanciulli sgranati
sul grande presepio della sagrestia.
Scendeva dalle stelle
il Pargolo divini
ed io non sapevo di salirvi.

*****
Natale 1993

Vorrei cancellare
le nuvole nere
che si addensano
all’orizzonte.
E’ forse utopia
pretendere un cielo azzurro
all’alba del duemila?
Cupe trombe di guerra
mi porta il vento dell’est
e ancora Caino innalza
la sua bandiera di sangue
e ancora Cristo rinasce
voce che grida nel deserto.


Natale ‘91 di Jolanda Catalano

Le noci non hanno più
l’odore di mio nonno
effluvio di sigaro e sciroppo per la tosse.
Di sangue s’è macchiato ormai il gheriglio,
contaminato il guscio
da infetti spifferi di morte.
Sulle montagne azzurre
non fiocca più il Natale
e le zampogne dolci
si perdono col vento
che stanco se ne scende nella valle
soffiando lente nenie di tristezza,
gridi accorati e fiochi dai cespugli
e intermittenti e labili lamenti.
E l’ombra di mio nonno si allontana
soffusa e mesta di malinconia,
non un sorriso sul suo volto bianco,
i pugni chiusi di rabbia impronunciata.
Non hanno più sapore queste noci.
Questo Natale sa d’indifferenza.

*****
Natale 2005
Credetemi,
non mi riconosco in questo Tempo
che si trascina ancora
il vecchiume dei morti
se negli occhi della gente
non vedo più luce,
se tutto si opacizza
tra la nebbia del male.
E questo Natale,
mio dolce Bambinello,
Ti mancherà un Re ed il suo dono
giacchè l’incenso e la mirra
dall’urna della memoria
a Te ritorneranno come sempre
ma l’oro ormai è sporco del Tuo sangue,
dello scempio che l’Uomo ha dilatato
oltre confini incerti e le parole
più non bastano a descrivere il dolore
dell’innocenza uccisa in questi anni.
Tu già lo sapevi e non dicevi niente
di un Natale monco e i pastorelli
con gli occhi fissi ad aspettare il dono
che completasse il Tempo ed il Presepe.
Ed io mi chiedo se sarà Natale,
se ci sarai ancora in quella stalla
e se Ti merita il Re che Ti ha tradito.


Dio in fasce di Federico Garcia Lorca

E così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.
Brezza e materia unite nell'espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.

E così, forma breve d'inefferabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda.


Natale,un giorno di Hirokazu Ogura

Perché
dappertutto ci sono cosi tanti recinti?
In fondo tutto il mondo è un grande recinto.

Perché
la gente parla lingue diverse?
In fondo tutti diciamo le stesse cose.

Perché
il colore della pelle non é indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.

Perché
gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non lo vuole.

Perché
avvelenano la terra?
Abbiamo solo quella.

A Natale - un giorno - gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo.
Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele.
Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla punta.

Allora tutti si diranno "Buon Natale!" a Natale, un giorno
.


Natale di S. Quasimodo

Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?


A Gesù Bambino di Umberto Saba

La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

Una mia carissima amica dice che: "Natale dovrebbe essere ogni giorno!",come non essere d'accordo? Mi piacerebbe che questa piccola selezione di poesie possa accompagnare (almeno durante le festività) chi verrà a farmi visita.ele

lunedì 21 dicembre 2009

Buon Natale!



A tutti i miei amici il mio augurio sincero di un Natale sereno, nel quale ritrovare il calore degli affetti, lo spirito di fratellanza, il desiderio di condivisione del poco che abbiamo con chi è meno fortunato di noi (sono tanti!).

mercoledì 16 dicembre 2009

Zoli di Colum Mc Cann


Nel libro Zoli di Colum Mc Cann (Rizzoli, agosto 2007), si narra la storia di una zingara con una straordinaria vocazione alla poesia, che tuttavia viene messa al bando dalla sua gente perché, secondo una stretta osservanza della tradizione rom, non è consentito alla donna saper leggere e scrivere e, tanto meno, mettere per iscritto componimenti poetici. Al massimo la poesia può essere materia di canto, e Zoli infatti è inizialmente presentata come quella che canta appassionatamente suggestive canzoni tradizionali, molto amate dal suo popolo.
Nel libro di Mc Cann la zingara ancora si sposa secondo il volere del gruppo familiare, si dedica molto alla cura e all’educazione dei figli secondo i valori della cultura dei padri, è duramente punita se adultera, è addirittura cacciata dalla comunità se ne trasgredisce i principi.
Ed è a una donna vera, Papuska, poetessa rom cacciata in esilio dal suo popolo, che si ispira Mc Cann per la sua eroina.
Secondo la caratteristica propensione dell’autore ad una scrittura che “va avanti e indietro nel tempo” seguendo il flusso della memoria, la storia si sviluppa su due piani temporali e narrativi che si intersecano, e nei quali la narrazione si svolge alternativamente in prima e in terza persona. Uno dei due piani ci porta, nel 2003, prima in Slovacchia e poi a Parigi, e racconta in gran parte la ricerca di Zoli da parte del giornalista che un tempo l’ha scoperta; l’altro piano è per lo più il racconto che la stessa Zoli fa a sua figlia della sua vita errabonda dagli anni ’30 agli inizi del duemila, dalla Cecoslovacchia all’Ungheria, all’Austria, all’Italia. Quando l’autore narra in terza persona, la sua prosa si fa realistica e si accosta al parlato quotidiano, mentre se ricorre alla prima persona, la prosa diventa poetica e visionaria, tutta ricordi e poesia.
È in questa dimensione che viene rievocata l’infanzia errabonda della piccola rom che, sola con suo nonno, scampa allo sterminio di tutta la sua famiglia ad opera della milizia nazista dei Hlinka; ed è proprio al nonno – singolare personaggio, lettore di Marx e Lenin ma educatore severo ai valori dei padri – che Zoli deve l’apprendimento segreto della lettura e della scrittura, perché, egli sosteneva, “... tradizione significava continuare le usanze ma, a volte, an¬che iniziarne di nuove” (pag. 33).
La zingara vive un’adolescenza sentimentalmente ricca ma serena nel suo accampamento, cantando con grande trasporto le canzoni care alla sua gente; poi, in obbedienza al volere del suo gruppo familiare, sposa a quattordici anni un vecchio violinista rom che devotamente accudirà fino alla morte; ma intanto, verso gli ultimi anni ’40, è scoperta e lanciata dal regime comunista che – per “ascoltare le radici profonde dei nostri fratelli zingari” e "rendere “onore al proletariato colto” – la esalta come voce di una cultura da valorizzare e inglobare nel sistema.
Segue il racconto di tempi tumultuosi ed oscuri, segnati dall’impossibile storia d’amore tra la giovane rom ed uno dei due giornalisti che l’hanno scoperta, dal rapido estinguersi dell’iniziale slancio liberale del regime verso gli zingari, dalla contemporanea maledizione di Zoli e dalla sua condanna al silenzio ad opera del suo popolo, dai tormentosi giorni dell’esilio e della fuga fino all’approdo in Italia, presso il contrabbandiere che l’ha salvata e diventa suo marito e il padre di sua figlia.
Proprio grazie a sua figlia, Zoli, ormai ultrasettantenne e vedova, ritrova a Parigi, in un convegno internazionale sulla cultura rom, il giornalista che un tempo ne aveva scoperto le doti poetiche, e può assistere al definitivo riconoscimento della sua poesia e liberamente cantarla.
Appaiono subito evidenti nel romanzo di Mc Cann i nuclei tematici che gli stanno a cuore: l’esaltazione dell’arte come fonte di purificazione e redenzione, anche in contrasto con i valori, pur amati, della cultura tradizionale, e poi – soprattutto – la necessità di conoscere a fondo chi è diverso da noi per accettarlo e rispettarlo com’è.
Zoli ricorda dolente quello che i gadze (i non-zingari) rinfacciano ai rom: “Siete ladri, siete bugiardi, siete sudici; perché non potete essere semplicemente uguali a noi?"(pag. 250). Ma poi sembra pacificarsi, nella considerazione di un uguale destino d’amore e di morte che pare accomunare tutti gli uomini.
Recensione di Anna Maria Lepore

venerdì 11 dicembre 2009

Il faro di Paolo Carbonaio



IL FARO

Spruzzi d’acqua e vento in faccia,
mentre affrontiamo le onde
di questo nostro mare in tempesta.

Momenti ritmati da una musica
solamente nostra,
che ci conquista,
ci avvolge e ci fonde
nella fragranza del mare.

Soli, fuori dal mondo
e dalla vita,
dal passato e dai ricordi,
dalle rive della realtà.
Unici padroni del nostro faro,
riparo sicuro tra i marosi
delle nostre esistenze.

Come pulcini bagnati
ci stringiamo assieme,
profumando di quiete
e di speranze.

paolo carbonaio

sabato 5 dicembre 2009

Anche il cardo ha il suo fiore...di Paolina Messina


Ho segnato in rosso
nella mappa dei ricordi
i sentieri della gioia
Stradine in salita
appena tracciate
da un bisbiglio sommesso
di voci lontane
che io ben conosco
Mi guidano insegne
di tenui profumi
e colori sbiaditi
dal tempo
Ecco là nel cortile
la vecchia cisterna
Mia madre ricurva
sul secchio ripieno
di gelida acqua piovana
E'mia quella giara
spaccata con dentro
la ruta che emana
l'aroma suo forte ed amaro
E' mia quella strada
a scalini che sale
e più sali e più vedi
al di sotto le case
restringersi intorno
alla vecchia Matrice
E' mia quella piazza
solcata da rondini in volo
con le tonde panchine di ferro
dove i vecchi si rubano il sole
E' mio quell'angolo quieto
del camposanto barocco
dal quale mio padre
ancora mi parla
di guerre passate
di bombe di fame
di pane e cipolle
E' mia questa gioia
condita di pena
che ogni giorno
mi spiana la via
Se memoria è dolore
anche il cardo ha il suo fiore.

dalla silloge "Finchè avrò memoria" di Paolina Messina

mercoledì 2 dicembre 2009

Marc Chagall a Pisa


fino al 17.I.2010
Marc Chagall
Pisa, Palazzo Blu
La tavolozza si rigenera in una cromia più squillante. Un uomo capace d’immergersi nell’atmosfera di un territorio lontano da quello delle proprie origini. È la storia di Chagall, uno dei più grandi artisti russi del Novecento.

“Sto molto bene con voi tutti. Ma... avete sentito parlare delle tradizioni, di Aix, del pittore che si tagliò l’orecchio, di cubi, di quadrati, di Parigi? Vitebsk, ti abbandono. Restate soli con le vostre aringhe!”.
Sono le parole che Marc Chagall (Vitebsk, 1887 - Saint-Paul-de-Vence, 1985) o, meglio, Moishe Segal pronunciò nei primi anni ‘20 quando, incantato dai paesaggi mediterranei, diede inizio a una rivoluzione nel suo fare artistico, sia da un punto di vista cromatico che luministico.
Le opere esposte a Pisa lasciano intuire l’intensa relazione fra ciò che l’artista produceva e i viaggi intrapresi, non tanto perché avesse la necessità di prendere spunto dalla realtà, quanto per la sua capacità di percepire nella propria intimità la forza evocatrice delle atmosfere che permeano un determinato luogo.
Lo dimostrano bene le guazze preparatorie delle incisioni stampate all’interno dell’edizione Tériade della Bibbia (1931), nelle quali la gamma cromatica è derivata da quadri volutamente paesaggistici come Gerusalemme (il Muro del pianto), eseguito durante un viaggio in Palestina. Situazione che si percepisce anche nella gouache su carta del 1927 intitolata La Volpe e l’Uva, facente parte di una serie di lavori preparatori per le incisioni delle Fiabe di La Fontaine, pubblicate ancora una volta dall’editore greco. In essa le vibrazioni luministiche derivano dalla lucentezza dei paesaggi della Costa Azzurra,in cui Chagall decise di trasferirsi definitivamente nel 1950.
È in tale regione della Francia che l’artista adottò una tavolozza dalle tonalità squillanti, unita comunque alla tradizione chassidica importata dalla Bielorussia, che influenzava di joie de vivre ogni tematica affrontata. Fondamentale per continuare quest’arte, che Chagall stesso definiva “mercurio fiammeggiante”, furono i viaggi in Grecia del ’52 e del ’54.
Il legame forte che lega Chagall a questi luoghi, soprattutto la Costa Azzurra, è rimarcato dal racconto di sua nipote Meret Meyer - curatrice della mostra insieme a Claudia Beltramo Ceppi - la quale descrive suo nonno intento ad accarezzare la terra usata per modellare, affinché percepisse la potenza luministica che essa conteneva.
La mostra allestita a Palazzo Blu conferma il notevole valore del periodo successivo a Vitebsk nell’elaborazione pittorica di Chagall, che si fonde oltretutto con il tradizionale legame fra artisti russi e Mediterraneo, come nel caso di Lev Bakst o Valentin Serov.
francesco funghi
mostra visitata l’8 ottobre 2009

Sono fortemente attratta dalla pittura di Chagall, dai colori, dall'uso delle linee che mi ricordano, talvolta, l'immaginario e il disegno infantile.
Che peccato non essere a Pisa!

domenica 22 novembre 2009

I Diritti dei bambini 20 nov.2009



Il 20 Novembre di ogni anno si celebra la Giornata dell'infanzia e dell'adolescenza, a ricordo di quel 20 novembre 1989 quando, con l'approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia da parte dell'Assemblea Generale dell'ONU, si sancì il riconoscimento a tutti gli effetti dei diritti dei bambini nell'ambito, più vasto, dei diritti umani universalmente identificati.

I diritti umani sono quei diritti che spettano ad ogni persona in quanto tale, sono diritti fondamentali, universali, inviolabili, inalienabili e devono trovare sempre adeguata protezione sia a livello nazionale che internazionale.

Purtroppo ancora oggi molti paesi disattendono gli impegni sottoscritti all'atto della Convenzione, giova ribadire quanto espresso dal Presidente Giorgio Napolitano
Roma, 19 nov. - (Adnkronos):
- "Non e' sufficiente che i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza siano sanciti formalmente nelle convenzioni internazionali e nelle legislazioni nazionali. Occorre far si' che essi trovino concreta attuazione e che i temi dell'infanzia e dell'adolescenza occupino un posto prominente nell'agenda internazionale dei singoli Paesi" Lo ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato al presidente dell'Unicef Italia Vincenzo Spadafora in occasione della presentazione del rapporto speciale sulla condizione dell'infanzia nel mondo, esprimendo il suo "sentito apprezzamento" all'organizzazione.

Per voi un testo di Tagore:
In riva al mare di mondi sconfinati
i bambini si incontrano
gridando e danzando.
Costruiscono castelli di sabbia
e giocano con conchiglie vuote.
Con foglie secche
fanno imbarcazioni
e sorridendo le fanno galleggiare
sul vasto abisso.
I bambini giocano
in riva al mare dei mondi.
Non sanno nuotare
nè gettare reti.
Non cercano tesori nascosti.
I bambini raccolgono sassolini
e li sparpagliano di nuovo.
Il mare gioca con i bambini
e pallido splende
il sorriso della spiaggia.
La tempesta percorre il cielo senza sentieri,
le navi naufragano
nell'acqua senza cammini,
c'é in giro la morte
e i bambini giocano.
In riva al mare di mondi sconfinati
é il grande convegno dei bambini.

mercoledì 18 novembre 2009

Daniele, storia di un bambino che spera di Cinzia Lacalamita


Daniele è un bambino che ha poco più di due anni ed è affetto da una malattia rarissima:una particolare forma di mutazione- unico caso al mondo- causato dalla distrofia muscolare di Duchenne.I muscoli dei bambini affetti da questa patologia sono attaccati progressivamente: si cammina sempre con maggiore difficoltà, prima o poi si finisce sulla sedia a rotelle, finchè, ad uno ad uno vengono colpiti gli organi vitali, l'apparato respiratorio, il cuore.
Daniele non lo sa e si muove come ogni altro piccolo della sua età, solo se lo guardi attentamente noti che un'andatura strana, simile a un passo di danza, in realtà fa forza sui talloni per stare in equilibrio.
Papà Fabio e mamma Eliana Amanti sono impegnati in una lotta contro il tempo, uno qualunque dei prossimi giorni Daniele potrebbe precipitare nel tunnel della distrofia e l'unico modo per trovare una cura é un progetto di ricerca finalizzato-anche- alla sua malattia. Per "costruire" il progetto occorrono 250mila euro.
Cinzia Lacalamita incontra Daniele su Internet, é scrittrice e madre (ha perso la sua piccola Daria), decide di aiutarlo e scrive un libro, trova l'editore e pubblica "Daniele, storia di un bambino che spera" (Aliberti, 11,90 euro).
I diritti d'autore- come altri contributi- vanno al Parent projet onlus, direttamente sul conto perchè Fabio, eliana e Cinzia vogliono che nulla passi per le loro mani.

Dobbiamo aiutare Daniele e i suoi genitori in questa lotta contro il tempo, dobbiamo farlo perchè il nostro impegno sul web abbia un significato, perchè le nostre parole di solidarietà e condivisione, e persino il nostro dolore, abbiano un significato!

Per contribuire:
Posta:Fondo Daniele Amanti c/c postale 94255007
Bonifico: Banca di Credito Cooperativo di Roma,iban IT38V08327032I9000000005775(intestato a Parent Projet Onlus. Causale:Fondo Daniele Amanti)

domenica 15 novembre 2009

Il Crocifisso nelle scuole



Nella mia scuola il Crocifisso c'è sempre stato, non ha mai dato fastidio neanche agli alunni di religione diversa, nè tantomeno alle loro famiglie.
Oggi si scopre che la Croce può creare turbamento...
Proviamo a pensare alle "croci" che ci affliggono quotidianamente, che sono sotto i nostri occhi ogni volta che accendiamo il televisore o leggiamo un giornale, non c'è proprio da stare allegri!
Riporto uno scritto di don Luigi Ciotti sull'argomento Crocifisso riportato dalla Stampa dell'11 u.s.

"Sono i giovani i crocifissi
da difendere"


I crocifissi da difendere, quelli veri, non sono quelli appesi ai muri delle scuole. Sono altri. Sono uomini e donne che fanno fatica. Che non ce la fanno e muoiono di stenti. E' verso di loro che non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti. E' verso di loro che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.
«Un crocifisso è un malato di Aids, che ha bisogno di cure e di sostegno. Un crocifisso è quel ragazzo brasiliano che è morto qualche giorno fa a Torino. A casa aveva lasciato la moglie e i figli, era arrivato qui alla ricerca di un lavoro, e non ce l'ha fatta».

Abbiamo partecipato al suo funerale. C'erano tante persone, molte nemmeno lo conoscevano, ma erano lì ugualmente, a condividerne la sofferenza e il dolore.
«E' giusto lottare per difendere i simboli di quello in cui crediamo, ma allo stesso tempo bisognare stare molto attenti a non cedere al puro idealismo. Lo dice il Vangelo stesso: i pezzetti di Dio sono sparsi nel mondo che ci circonda. Li troviamo ovunque. Nel concreto, nella vita di tutti i giorni, tra le persone che vivono accanto a noi, e di cui spesso nemmeno ci accorgiamo dell’esistenza. E' con queste realtà che dobbiamo imparare ad avere a che fare e a misurarci.
«Bisogna imparare a vivere con corresponsabilità, come i tanti e tanti volontari che dedicano il proprio tempo a un bene che non è esclusivamente loro, ma pubblico, di tutti quanti. Dobbiamo sentirci tutti chiamati in causa, nei grandi nuclei urbani come nei tanti piccoli paesi di provincia. La partecipazione è il primo passo in favore dei più deboli.
«I crocifissi non si difendono soltanto con le parole. Infatti queste troppe volte non bastano. Bisogna imparare ad affrontare la realtà con concretezza, e tendere la mano alle persone sole, a chi non ha più una famiglia e a chi non può ricorrere all'aiuto dei propri cari».

Condivido le parole di don Ciotti e profitto per segnalare la lettera di Roberto Saviano indirizzata al presidente del Consiglio:

"Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.

Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia."

ROBERTO SAVIANO

Su Repubblica.it è possibile firmare per sottoscrivere l'appello.

domenica 8 novembre 2009

Leggerezza di E.B.



Leggerezza

Leggerezza, assolutamente di casa nella famiglia Howard dove tutto era "leggero".
Inge e Olaf si erano conosciuti a scuola e da piccoli amici erano poi diventati giovani sposi che, a parere di tutti e a cose fatte, avevano agito con "leggerezza".
Lui non aveva un lavoro stabile, ma sapeva fare di tutto, lei aveva conservato nell'aspetto e nei modi la sua immagine di bambina con la capacità di sgranare i tondi occhi azzurri dinanzi agli eventi, grandi o piccoli che fossero, tutti ugualmente sorprendenti e, per lo più, fonte di gioia.
- Nessun progetto di vita, solo il desiderio incontenibile di essere insieme, di respirare la stessa aria, di incontrarsi con gli occhi e col cuore senza neanche cercarsi-
Al mattino Olaf usciva con la sua cassetta degli attrezzi e andava...dove? Forse al porto, forse a riparare un tetto oppure a sistemare qualche infisso sconnesso, sarebbe rientrato all'imbrunire con i suoi capelli svolazzanti e con gli occhi ridenti.
Avrebbe trovato la sua donna bambina intenta a costruire piccole case olandesi, simili alla loro, da vendere al mercato con altri piccoli oggetti di legno, decorati con colori leggeri, come lieve era il loro peso e il loro uso.
Sui fornelli era in attesa una cena già pronta, ogni volta diversa, leggera ma sostanziosa, avvolta da oscuri profumi capaci di guidarlo fino a loro anche a occhi chiusi, giacché erano girovaghi come Lui, e tra girovaghi ci si riconosce.
Nacque il primo figlio, con la pelle color latte della mamma e i capelli di soffice seta rosata, lo guardarono entrambi con stupore...decisero insieme che poiché era piccolo e leggero avrebbero usato con lui solo parole dolci e modi gentili.
Inge cominciò a confezionare piccole bambole, prendendo a modello il suo bambino che non urlava come tutti i neonati, che dormiva con guance paffute e piangeva con lacrime dolci e silenziose.
Olaf avvolgeva i suoi attrezzi in panni soffici e al mattino usciva da casa con passi silenti, non senza aver gettato un ultimo sguardo alla sua famiglia dormiente, la Vergine con il Bambino, sapendo che al ritorno avrebbe ritrovato la strada di casa guidato da piccoli trilli di gioia e canti pieni d’amore.
Quando nacque Katie, con leggerezza, era già tutto pronto: la piccola aveva la culla del fratello e per giocare tante piccole bambole-sorelle di cui sembrava essere l'esatta copia, occhi fiordaliso e boccuccia dischiusa, come chi si accinge a dare voce a domande ancora inespresse.
Inge tagliava, cuciva, incollava, riempiva cesti dei suoi piccoli oggetti, ognuno dei quali dedicato ai suoi bambini: un lettino per Unger con tulipani azzurri, una sediolina per Katie con uccelletti dorati..casette un po’ più grandi, bamboline con gonnelline svolazzanti o con pantaloncini di panno... tutti destinati a girare il mondo, a differenza dei suoi piccoli che teneva avvinti a sé con i fili del suo amore e con corde di seta, perché il Vento non li portasse lontano.
Il Vento, un amico col quale aveva sempre giocato, lui le gonfiava le gonne e lo invitava a seguirlo, le scioglieva i capelli rendendola cieca per un po’, giusto il tempo di scoprire che le piccole cose leggere che lei inseguiva non erano più al loro posto, le foglie, le nuvole, un panno sfuggito alla presa della corda...piccoli scherzi di un compagno burlone, che sapeva però diventare esigente.
Come quando si annunciava con sibili continui, persistenti, avvolgendo la sua casa con turbini e oscure minacce, allora lei capiva che doveva temerlo.
Chiudeva le imposte e - con i figli stretti a sé- metteva al sicuro le cose leggere della sua vita perché sapeva che il Vento aveva mani sottili e insinuanti.
Quando una sera di vento Olaf non tornò, Inge capì che il Vento lo aveva portato via.
Prima aveva disperso il profumo della zuppa che bolliva sul fornello, poi il canto delle loro voci che lo chiamavano... Olaf si era perso!
Uscì in cerca del suo uomo, era così leggera che sarebbe finita chissà dove se i figli, già adolescenti, non l'avessero tenuta per mano, se le corde che aveva tessuto per loro non fossero state così resistenti.
Al porto le barche erano tutte distrutte, qualcuna si era salvata, ancora compariva e scompariva all'orizzonte come una bimba in altalena, su e giù...
Infine col calare del vento non si vide più niente, solo un punto lontano.
Inge rimise i piedi a terra. Sapeva che Olaf era stato sull'altalena, e non sarebbe tornato.
Con passo gravato da una sconosciuta pesantezza fece ritorno a casa, tenendo per mano i suoi figli.
Unger al mattino prese ad uscire come suo padre e a rientrare con occhi ridenti, Katie cominciò ad aiutare la mamma a costruire piccole case con i tetti colorati e le imposte chiuse, solo dipinte.
Inge si specializzò in piccole barche, di tutte le dimensioni e tutti i colori, ognuna aveva lo stesso nome: Olaf.
Sarebbero andate, con leggerezza, per ogni dove, come solo le cose "leggere" sanno fare.

domenica 1 novembre 2009

Solo per oggi di Giovanni XXIII


Giovanni XXIII, il Papa buono scrisse cosi...


Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi
della mia vita tutti in una volta.

Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso.

Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell'altro mondo, ma anche in questo.

Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri.

Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l'ascolto sono necessari alla vita dell'anima.

Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.

Solo per oggi farò una cosa che non desidero fare. E se mi sentirò offeso nei miei sentimenti, farò in modo che nessuno se ne accorga.

Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l'indecisione.

Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che la Provvidenza si prende cura di me come nessun altro al mondo.

Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nella bontà.

Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita.

Dedico queste parole a Sante, nel giorno del Suo onomastico, con tutto il mio affetto!

Ai miei amici l'augurio che di tanto in tanto possano ripetersi:- Solo per oggi...

venerdì 23 ottobre 2009

Herta Muller - Nobel Letteratura 2009



Il paese delle prugne verdi di Herta Müller


"Quando stiamo in silenzio, mettiamo in imbarazzo, diceva Edgar, quando parliamo, diventiamo ridicoli. Sedevamo da troppo tempo davanti alle foto sul pavimento. A forza di sedere, le mie gambe si erano addormentate.
Schiacciavamo tante prugne con le parole in bocca quante coi piedi nel prato. Ma anche col silenzio.
Edgar taceva.
Non riesco a immaginarmi alcuna tomba, oggi. Solo una cintura, una finestra, una noce e una fune. Ogni morte è per me come un sacco.
Se ti sentisse qualcuno, diceva Edgar, ti prenderebbe per pazza."


Si intitolava “La letteratura necessaria” l’evento del Festival della Letteratura di Mantova che presentava come ospite Herta Müller, la scrittrice rumeno tedesca a cui è stato appena conferito l’alto onore del premio Nobel 2009 e di cui si era parlato poco finora in Italia. Succede, che la letteratura necessaria - necessaria per chi la scrive e per chi la legge - non sia nota quanto la letteratura di mercato. Succede, perché, riconosciamolo, c’è una letteratura che potremmo chiamare da ‘fast reading’, coniando il termine per analogia con ‘fast food’, e ci sono poi i libri che hanno uno spessore diverso, che devono essere assaporati in maniera differente, che corrispondono ad una esigenza profonda. Di eticità, di libertà, di umanità essenziale. E i romanzi di Herta Müller appartengono a questo tipo di letteratura.

Il paese delle prugne verdi si srotola tra passato e presente, in una sorta di Bildungsroman della protagonista. Il passato con la madre, due nonne e un padre che era stato nelle SS e cantava ancora le canzoni inneggianti al Führer, in un paesino dall’atmosfera claustrofobica e oppressiva tanto quanto l’intera Romania di Ceauşescu che fa da sfondo alla narrazione principale del presente - l’amicizia di quattro studenti universitari, tre ragazzi e la scrittrice. C’era un’altra amica, Lola, e il libro si apre con la sua morte: Lola si suicida impiccandosi nell’armadio della stanza che condivide con altre tre ragazze. La morte come una via d’uscita da un paese senza libertà, in alternativa alla follia, oppure alla fuga.

Il paese delle prugne verdi sarebbe un libro nerissimo e disperato se non fosse per lo stile scelto da Herta Müller, per l’uso della metafora che cela le immagini più crude e attenua la realtà, per la poesia che affiora in ogni pagina e si annuncia nei versi di Gellu Naum in apertura, per anticipare il tema del libro: Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola/ così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore...
Un libro necessario, per tutti noi che siamo convinti di vivere in un paese libero.

L'autrice
Herta Müller
Nitchidorf (Romania), 1953
Nasce a Nitchidorf, un villaggio tedesco del Banato rumeno. Studia all'Università di Timişoara, e nel 1976 inizia a lavorare come traduttrice in una azienda ingegneristica, dalla quale sarà licenziata nel 1979 per mancata collaborazione con la Securitate, i servizi segreti del regime di Ceauşescu.
Si guadagna da vivere come maestra d'asilo e insegnante di lingua tedesca. Nel 1982 pubblica il suo primo libro, che uscirà in forma censurata, come gran parte delle pubblicazioni dell'epoca. Nel 1987, lascia la Romania per andare a vivere in Germania dove vive tuttora insieme al marito, lo scrittore Richard Wagner, e da lì inizierà a ricevere proposte per divenire professore universitario.
(la recensione é tratta da Wuz.it)

mercoledì 21 ottobre 2009

Parliamo di ...cachi



Questo mese parliamo di ...Cachi

Il kaki (Diospyros kaki), o cachi nel linguaggio comune, è un tipico frutto autunnale che si caratterizza per il colore arancio brillante, la buccia liscia e lucida, che tende a rompersi facilmente quando il frutto è maturo, e la polpa molto dolce, simile ad una crema.

Le origini

La pianta di cachi, originaria della Cina (dove il frutto era chiamato la “mela d’oriente”), giunse in Giappone oltre mille anni fa, dove cominciò ad essere diffusamente coltivata.
La sua introduzione in Europa risale alla fine del Settecento, utilizzata inizialmente come pianta ornamentale; fu solo nel 1860 in Francia e, successivamente, in Italia che iniziò ad interessare come albero da frutto.

Le regioni italiane in cui è maggiore la produzione sono la Campania (da cui proviene circa il 50% della produzione nazionale) e l’Emilia-Romagna.

Appartenente alla famiglia delle Ebenaceae, la pianta di cachi, che raggiunge e talvolta supera i dieci di metri, si presenta con foglie acuminate di colore verde lucido e il frutto è una grossa bacca con forma prevalentemente arrotondata.
Il suo legno, particolarmente duro, veniva utilizzato per fabbricare oggetti molto robusti come mazze da golf e attrezzi sportivi.
La maturazione dei frutti avviene nei mesi tra ottobre e novembre, quando la polpa verdastra raggiunge il colore giallo-arancio. I cachi devono essere consumati a completa maturazione.
Dopo la raccolta, è necessario attendere che maturino ulteriormente, per eliminare il tipico effetto astringente al palato provocato dall'elevato contenuto di tannino.

Le varietà

Le varietà di cachi più conosciute sono:
- ”Loto di Romagna”, la cui zona tipica di produzione comprende i comprensori di Imola, Faenza, Lugo, Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini; si presenta di colore giallo aranciato, forma tonda e polpa consistente.

- “Vaniglia della Campania” è di colore rosso aranciato intenso con polpa liquiescente e sapore più dolce, ha forma rotonda e leggermente schiacciata alle due estremità.

Altre varietà conosciute sono: il “Fuyu” con maturazione tardiva, il “Kawabata”, il “Suruga” caratterizzato da polpa più dura.

Caratteristiche nutrizionali

Ricchi di vitamine, sali minerali e zuccheri i cachi sono frutti molto energetici, (contengono 65 calorie per 100 grammi). Contengono, inoltre, beta-carotene, vitamina C e, grazie alla presenza di potassio, fibre e calcio, hanno proprietà diuretiche.

Io sono ghiotta di cachi...per giunta ho la fortuna di poter disporre di un albero carico di frutti che è una vera gioia per gli occhi!
Posso invitarvi per una piccola scorpacciata?

martedì 13 ottobre 2009

Il Suo volto di Paolina Messina


Stiamo attraversando tempi difficili, privi di qualsiasi certezza. Parole come Verità e Giustizia vengono usate con significato ambiguo da più parti: ognuno può servirsene come meglio crede a supporto e giustificazione di azioni palesemente riprovevoli, finalizzate al raggiungimento di obiettivi che poco o nulla hanno a che fare con il Bene comune.
L'ipocrisia, l'intolleranza, la menzogna, l'inganno, lo sporco interesse dilagano apertamente negando il significato di altre parole che vorremmo poter usare senza fraintendimenti.
Penso all'Onestà, al Rispetto, alla Solidarietà, alla Libertà...
Sono un'inguaribile idealista, una persona che crede con ostinazione al significato delle parole e alla necessità di riscoprire linguaggi e modalità di comunicazione "dignitosi" e inequivocabili.

Vi propongo una lirica di Paolina che esprime con linguaggio semplice e diretto la sua profonda Fede, un Dono che auguro a me stessa e a chi ha la cortesia di leggermi.

Il Suo volto
Ha il capo reclino
Il Cristo sulla Croce
Non vedo il suo volto
ma so com'é
E' il volto del campesino sudamericano
che consuma la vita
nella terra non sua
E' il volto della madre di Santiago
che innalza la foto
del figlio scomparso
E' il volto del nero sudafricano
che strappa alle viscere della terra
diamanti non suoi
E'il volto di ogni emarginato
oppresso perseguitato sofferente
che giustizia reclama e attende

(dalla silloge "Tra frantumi di case")

sabato 3 ottobre 2009

La Maison rouge



Ho ceduto alle insistenze di due carissime amiche, stanche e deluse da una latitanza che rischiava di diventare permanente.
Dedico a Jole e Piera questo scritto, le ringrazio per un affetto che ricambio con gratitudine.

La maison rouge

Dopo aver attraversato una lunga serie di piccoli graziosi paesi, piuttosto simili tra loro, Jeannette decise di fermarsi.
In realtà si fermò a “Le Petit” attirata dal nome suggestivo del paese: Il Piccolo, era proprio ciò che cercava, un luogo che prometteva tempi distesi, per l’esiguità degli spazi, aria libera di circolare secondo il capriccio del tempo, forse perfino rapporti più autentici, più umani.
Lei era in fuga, la grande città che aveva alle spalle l’aveva colmata d’insofferenza, rabbia, delusione, aveva soffocato ogni desiderio del suo cuore, quasi ogni speranza.
Era partita alla ricerca di un luogo ove trascorrere la seconda parte della sua vita, presumibilmente sarebbe stata l’ultima…ma avvertiva chiaramente il dovere di tentare!
La stagione era la sua preferita, un “discreto” Autunno provenzale che recava i segni e i colori dell’estate appena trascorsa… alberi ancora frondosi, con appena un accenno di timidi gialli, in un verde ancora giovane e brillante.
Incalzata da una fame nascosta, entrò nell’unica locanda del paese per scoprire che la gente aveva occhi curiosi, affamati, e un atteggiamento affabile e accogliente, in contrasto con l’apparente indifferenza dell’ambiente circostante.
Il tempo di mangiare una zuppa appetitosa fu sufficiente per conoscere del posto quasi tutto quello che c’era da sapere.
Il paese era pressoché disabitato, solo anziani che aspettavano serenamente la conclusione di una vita appagante, e qualche giovane che ancora si tratteneva, in attesa di “decollare” per la più vicina città.
La locandiera, Francine, le assicurò l’ospitalità per la notte mostrandole, con orgoglio, una piccola stanza al piano superiore che emanava un sottile profumo di lavanda, unito all’aroma dei vecchi mobili tirati a lucido e della biancheria immacolata che ricopriva il letto, un fresco, lindo giaciglio che sembrava essere in paziente attesa.
Fu soggiogata dalla semplicità antica dell’ambiente, dalle tendine, orlate di piccoli fiordalisi, che si muovevano leggere sui vetri lustri della finestra socchiusa, dal catino che un poco discosto aspettava di essere riempito da una panciuta caraffa…
Con un colpo d’occhio registrò ogni cosa, anche due bellissime stampe che sulla parete mostravano un sentiero nel bosco e una veduta dai colori tenui di una lontana marina.
Decise che si sarebbe fermata, per quanto, non lo sapeva.
Trascorse il pomeriggio con Francine che le raccontò la sua triste storia, con la confidenza che si può avere solo con una vecchia amica, oppure con uno sconosciuto incontrato per caso, come avviene talvolta nell’angusto spazio di un treno destinato ad un lungo viaggio.
Seppe così che Francine era vedova, la stanza apparteneva alla sua unica figlia che forse sarebbe tornata per Natale, e forse no.
Si sorprese a parlare di sé, a rivelare la sua fuga e il bisogno di ricominciare la sua vita in un luogo tranquillo, senza legami e senza ansie…sarebbe vissuta della sua pensione, avrebbe acquistato una nuova casa che avrebbe colmato di comode cose fuori moda, ma belle, amiche , e tutte sue, nuove per lei e per la sua memoria.
Fecero un piano… senza accorgersi che discretamente il buio si era insinuato tra loro, dopo aver nascosto fuori tutto il resto.
Le Petit era intorno, sommerso e al sicuro, loro galleggiavano sulla scia di parole che luccicavano dell’entusiasmo per una nuova vita.
L’indomani, insieme, avrebbero cercato una vecchia casa, ce n’era più d’una in vendita a Le Petit, paese benedetto perché sconosciuto e tranquillo!
Jeannette dormì di un sonno profondo, come non le capitava da qualche tempo, al risveglio si sentiva scattante ed emozionata, piena di una forza giovane che credeva perduta per sempre.
Anche Francine sembrava più giovane, ai raggi del sole i suoi capelli ramati avevano riflessi d’oro e i suoi occhi nocciola sembravano nascondere piccoli guizzi di fiamma…
Esplorarono il paese nella prima luce del mattino, la migliore per dipingere, pensò, poi si fermarono dinanzi ad una casa che sembrava più sola delle altre.
Era circondata da un piccolo giardino pieno di fiori, a dispetto delle erbacce che si erano dovute ritirare dopo una pacifica invasione non riuscita.
Le imposte erano sconnesse e screpolate, ma il tetto e il camino sembravano in ordine, in alto poi svettava un galletto- banderuola, baldanzoso e sfacciato nel rivendicare il suo ruolo di sentinella.
Vuoi vederla? Le chiese Francine.
- Certo, mi piacerebbe…
Questione di un attimo. Francine aveva già aperto la porta e le faceva strada, per spalancare poi con movimenti decisi le imposte perché entrassero la Luce e l’Aria, la Vita!
Si ritrovò nella casa dei suoi sogni, si sentì avvolgere in un caldo abbraccio e trasportare di colpo in un altro tempo… un futuro, a lungo tessuto di gioia e di speranza.
Era stata abile Francine. L’aveva condotta esattamente dove avrebbe voluto essere!
Francine parlava:
- Era la mia casa, ma io non potrei più viverci, però a te potrei venderla, se vuoi, così non mi sembrerebbe di averla persa per sempre…
Con gli occhi pieni di lacrime guardò la sua nuova amica che sorrideva con aria soddisfatta, le sembrò per un attimo una pigra gatta rossa dagli occhi verdi, una piccola strega soddisfatta che aveva compiuto il suo incantesimo.
Avrebbe acquistato la casa.
Le imposte, la porta, il recinto li avrebbe dipinti di rosso, del colore del fuoco che ardeva con arroganza nel vecchio camino.
A Le Petit si vide un fumo inatteso, tutti compresero che Francine avrebbe finalmente ritrovato la gioia, quello che la gente non sapeva è che sarebbe nata la Maison Rouge.
Oggi “Le Petit” non figura più sulle carte geografiche, ma c’è un piccolo paese della Provenza che in autunno fiammeggia nel verde, è Maison Rouge, lì tutte le case hanno le imposte dipinte di rosso…

domenica 20 settembre 2009

Avviso ai naviganti!



Sono nei guai! Dal mio ultimo post é "scomparsa" la dicitura commenti così dovete darmi il tempo di risolvere il problema.
Per ora un caro saluto a tutti. Sono a pezzi, ma non dispero.

Storie maledette




"In onda sabato 19 settembre alle 23.25 sul terzo canale della RAI.
Secondo appuntamento di Storie Maledette, il programma ideato, scritto e condotto da Franca Leosini. Al centro di questa seconda puntata una tematica di stretta attualità: l’integrazione nella nostra società di immigrati provenienti da Paesi e culture lontane. Franca Leosini incontra Mohammed Lhasni, operaio marocchino di 52 anni, in Italia da più di 20, che la notte del 24 settembre 2004 uccide nella sua casa di Grantorto, a 20 chilometri da Padova, la diciottenne figlia Kaoutar. “Colpa” di Kaoutar quella di amare un giovane marocchino, pur essendo stata promessa in sposa dal padre a un giovanotto nel Paese di origine.

Un dramma sconvolgente l'omicidio, per mano del padre, della bella e innocente Kaoutar; una tragedia che fa riflettere, anche perchè vicenda emblematica delle difficoltà per gli immigrati di integrarsi, di conciliare cultura e tradizioni dei Paesi d'origine con quelli della nostra Terra che li ospita."
da rai.it

Quanto sopra una sintesi del terribile fatto di cronaca che ha evidenti analogie con quanto avvenuto recentemente a Pordenone: vittime due giovani donne, Kaoutar e Sanaa, carnefici due padri, entrambi originari del Marocco.
Simili le motivazioni addotte dai padri: una figlia non é libera di innamorarsi, di nutrire sogni o aspirazioni, non può decidere della sua vita che appartiene al padre, come al padre-padrone appartiengono la moglie e ogni figlio, con una piccola discriminante, ai "maschi" viene concessa una qualche forma di autonomia, perfino il diritto di provare a difendere sorelle e madri.
Ho voluto guardare negli occhi, con gli occhi di una telecamera, un uomo che fino alla fine ha continuato a sostenere di essere innocente, e ha seguitato ad asserire che lui la sua Kaoutar l'amava davvero...
Sono rimasta allibita, e notevolmente sconvolta.
L'uomo è stato condannato, con il rito abbreviato, a quindici anni di carcere.
La sua famiglia lo attende nella casa di Grantorto, vicino Padova. Moglie e figli hanno dichiarato alle telecamere che il padre aveva giustamente "salvaguardato" l'onore della famiglia! Per la disgraziata Kaoutar neanche una parola.
Mi sono resa conto che l'integrazione è spesso una missione impossibile...non si può pensare di cambiare menti e cuori che si sono formati in culture che poggiano su tradizioni e convinzioni consolidate, e tuttora più che mai "vitali" in paesi lontani.
Cosa fare oltre ad accogliere, rispettare, non discriminare né per il colore della pelle o tantomeno per la Religione?
Cosa significa "integrazione" per chi arriva nel nostro paese?
Quante Sanaa e Kaoutar dovranno ancora pagare per la loro sventura di essere figlie e donne "prigioniere" di uomini che non sanno rinunciare ai loro convincimenti più radicati?
Sono in cerca di risposte, addolorata e confusa più che mai.e.b.

mercoledì 9 settembre 2009

Francesco Lotoro: l'uomo che gira intorno al mondo per ricostruire la musica dei Lager

E' il titolo di un interessantissimo articolo-intervista di Beppe Sebaste riportato dal Venerdì di Repubblica del 4 settembre u.s.

Francesco Lotoro, il pianista che salva e riporta all'aria la musica sommersa dai lager
Come sarebbe la musica contemporanea senza la scomparsa di gran parte dell’intelligentia musicale ebraica d'Europa nei lager nazisti? Prima di morire di stenti o nelle camere a gas, molti continuarono a comporre musica, addirittura a suonarla. Sono perdute per sempre le opere composte lì, nell’inferno? Ma soprattutto: davvero è stato possibile fare musica nei campi di concentramento?
La risposta all’ultima domanda è sì. Qualcuno, da vent’anni, dedica la propria vita a salvare quelle musiche sommerse, al limite dell’indecifrabile, come la carta igienica scritta a pentagramma con la carbonella su cui Rudolf Karel, già allievo di Dvorak, scrisse un “Nonet”, partitura per nove strumenti, poco prima di morire di dissenteria. A scovare musica con passione da archeologo, farla evadere dalla damnatio memoriae, interpretarla come filologo e registrarla su disco, cioè “restituirla all’aria, così come deve vivere la musica”, è un pianista e ricercatore di Puglia, Francesco Lotoro.
Ha studiato a Budapest con Kornel Zempleni, si è perfezionato con maestri come Aldo Ciccolini, insegna al Conservatorio di Rodi Garganico, dirige l’Orchestra Musica Judaica ed è responsabile culturale dell’antica sinagoga Scolanova di Trani, da poco ripristinata nello splendido centro sull'Adriatico famoso per la bianca cattedrale. Se il 6 settembre la Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata alle feste e tradizioni ebraiche, musiche comprese, avrà come città capofila proprio Trani, e nello stesso periodo si svolgerà un Festival della cultura ebraica in tutta la Puglia, forse tra le ragioni della scelta c’è anche l’attività di Francesco Lotoro. Il quale, oltre alla passione musicale, ha contribuito al risveglio dell’identità ebraica in Puglia, che ebbe a Trani una florida e colta comunità dal X secolo alla cacciata degli Ebrei nel 1541. Far rivivere l’ebraismo dimenticato, e salvare ciò che è sepolto o nascosto come ricercatore musicale, hanno per Lotoro molte analogie. Si chiama Enciclopedia della Musica Concentrazionaria (la musica composta nei campi di concentramento tra il 1933 e il 1945), il lavoro di incisione e pubblicazione che sta portando avanti da anni senza sovvenzioni con l’etichetta KZ Musik, e il cui piano dell’opera prevedere 48 volumi-CD. Tutto questo avviene in Puglia, non a New York. Un lavoro paziente e quasi in solitudine.
Come ha avuto inizio la sua ricerca?
"Ero a Praga nel 1990/91, e mi colpì la coincidenza della data di morte di tanti compositori, 17 ottobre 1944: Pavel Haas, Viktor Ullmann (entrambi della scuola di Schoenberg) e tanti altri finiti nelle camere a gas. Ma anche morti per altri motivi, come Gideon Klein, Rudolf Karel, Zikmund Schul, Emile Goué... Pensavo di trovare una decina di opere musicali, e oggi la mia ricerca ha inventariato 4000 partiture nate nei campi. Raccolgo e registro opere musicali composte in ogni tipo di lager, anche quelle dei non ebrei, dai politici ai Sinti e ai Rom, dai preti cattolici ai quaccheri, Messe, opere di cabaret e canti di lotta, come la Sinfonia n. 8 di Erwin Schulhoff ispirato al Manifesto del Partito Comunista, vero e proprio Oratorio laico. La fenomenologia musicale concentrazionaria è molto complessa, scritta nelle condizioni più tragiche e sopravvissuta fino a noi in modi desueti da luoghi in cui è tuttora impensabile che sia stato possibile fare musica."
E' infatti sorprendente...
"Nei campi di concentramento come Theresienstadt, preambolo a quelli di sterminio, la musica era usata come elemento di distensione e ricreazione, controllata ma assecondata, perfino con la fornitura di strumenti musicali e di carta da musica. Il campo di sterminio è diverso, si arriva per essere eliminati fisicamente dopo una rapida selezione (il cantante Karel Berman si salvò dicendosi operaio). Noi conserviamo traccia di questa musica grazie a un elemento inconsueto, la memoria: melodie nascevano sui treni da Salonicco, perfino nei tragitti che portavano alle camere a gas, e in un modo o nell’altro ci sono pervenute, immagazzinate nella mente dei sopravvissuti o testimoni”.
E' la magia, il potere della testimonianza...
“Sì, e della memoria. A volte le si dà un significato labile, ma nelle persone che ho incontrato ho trovato quasi sempre una memoria limpida. Questo patrimonio fa parte del vissuto musicale, anche senza carta. C’erano musicisti preposti all’intrattenimento musicale degli ufficiali che hanno arrangiato pezzi di Mozart o di Wagner, e ci sono pervenuti. Da Auschwitz e Birkenau ci sono arrivate partiture, altre si sono perse. Anche nei campi di sterminio si compose musica. Zimon Laks, polacco emigrato a Parigi, poi deportato, fece musica in un blocco a Birkenau vedendo la fila di chi andava nelle camere a gas. Perse là tutte le carte, e ricostruì a memoria solo tre “Polonaises” che arrangiò per quartetto d’archi. La cosa drammatica è che anche i sopravvissuti stanno scomparendo, e che quando ho avviato questa ricerca molti non ho potuto incontrarli."
Come si svolge il suo lavoro di ricerca?
“La musica vive nell’aria, se io trovo la carta, non ho trovato tutta la musica. Se trovo un dipinto, una scultura, ho trovato l’opera d’arte. La musica deve passare dalla carta all’aria, e poi ancora alla carta. Occorre decifrare la grafia, spesso al limite della scarabocchio, vedere in uno sgorbio un diesis, leggere i segni grafici della cattività. Ho passato notti a studiarla. Oppure devo andare a trovare il sopravvissuto che vive per esempio a Gerusalemme, dopo averlo faticosamente cercato, perché mi canti al registratore tutto quello che ricorda, poi a casa lo riporto al computer, o alla carta. Io sono un ricercatore, un musicista, ma occorre ora qualcuno che curi un archivio di tutto questo materiale, troppo per le mie risorse”.
“Grazie a Dio funziona il passaparola, la solidarietà, e passa il messaggio che questa musica deve emergere, essere salvata. Penso sempre che, se questa musica non la suoniamo, rimane nel campo di concentramento. Se non possiamo suonarla in un concerto, almeno la registriamo. Faccio un lavoro gigantesco per restituire alla musica la sua normalità”.

Mi hanno colpito le parole: "La musica vive nell'aria...se trovo la carta non ho trovato tutta la musica..."

Un grazie a Beppe Sebaste e complimenti per il lavoro di ricerca che conduce Francesco Lotoro. Un invito ai miei amici a visitare il sito di Sebaste:http://beppesebaste.blogspot.com

sabato 5 settembre 2009

Ucciso in Salvador il regista della " Vida loca"



ESTERI Repubblica.it
Assassinato Christian Poveda fotoreporter franco-spagnolo
reso celebre dal film documentario "La vida loca"


Christian Poveda
Il fotografo e regista franco-spagnolo Christian Poveda è stato trovato morto vicino alla sua auto con quattro colpi di pistola in faccia in un'area che si chiama El Limòn vicino a Tonacatepeque, a nord della capitale del Salvador.
Un anno fa Poveda aveva girato un bellissimo film documentario, "La vida loca", sulle maras, le bande di giovani assassini che infestano il Centro America. Proprio una delle maras più forti del Salvador, la M-18, controlla la zona del Limòn e la polizia non esclude che l'omicidio di Poveda abbia a che fare con le sue inchieste e il suo documentario. Prima di essere ucciso il fotoreporter, 54 anni, aveva girato nuove immagini e stava rientrando nella capitale.

Poveda era nato in Algeria nel 1955 da genitori spagnoli fuggiti in esilio dalla dittatura franchista. Cresciuto a Parigi era arrivato in Salvador giovanissimo, trent'anni fa, grazie ad un contratto con Time, il newsmagazine americano, per seguire come fotografo la guerra civile. Dopo il '92, quando la guerriglia del Farabundo Martì - oggi al governo - iniziò le trattative di pace, Poveda lasciò il paese per documentare nuove guerre: dall'Iran, all'Iraq, al Libano; pubblicando le sue foto nei maggiori giornali internazionali come El Pais, Le Monde, Paris Match e New York Times.

Qualche anno fa Poveda era tornato a stabilirsi in Salvador e a lavorare sul fenomeno della criminalità giovanile. Il film La vida loca, in gran parte girato nel sobborgo della Campanera, documenta l'estrema violenza di queste bande di giovanissimi - l'iniziazione avviene intorno ai dodici massimo tredici anni - che spacciano droga e dominano il contrabbando, ma è molto critico anche verso la polizia e l'atteggiamento super repressivo dello Stato.

Le bande criminali giovanili come la M-18 o la Salvatrucha (o M-13), le due più grandi del Salvador, nascono negli anni Ottanta tra i ragazzi delle comunità di immigrati ispanici di Los Angeles. Negli anni Novanta il fenomeno si estende in Centroamericana grazie ad una legge che consente al governo americano di rispedire nei paesi d'origine piccoli e grandi criminali dopo che hanno scontato la loro condanna negli Usa. Fu così che i giovani capi gang di Los Angeles rimpatriati in Salvador formarono le nuove bande per gestire droga e contrabbando. Il fenomeno è esploso in America centrale negli ultimi dieci anni ed oggi si calcola che l'esercito delle gang sia composto da un numero di membri che varia dai 30 ai 50 mila.
(4 settembre 2009)

«Dobbiamo capire perché un ragazzino di 12-13 anni aderisce ad una gang e gli consegna la sua vita», aveva detto Poveda in una recente intervista con El Faro, un quotidiano salvadoregno online. «I ragazzini che hanno drammatici problemi in famiglia o vengono da situazioni di povertà non hanno genitori che si possano occupare di loro».da Il Mattino.it

Le parole di Poveda mi appaiono di triste attualità anche per ciò che avviene nel nostro Paese. Anche noi dobbiamo "capire" e le Istituzioni dovrebbero interrogarsi su certi fenomeni che sono sempre espressione di un profondo disagio sociale che non si può sottovalutare.

giovedì 3 settembre 2009

L'ostaggio di Eleonora Bernardi


L’ostaggio

Ancora un po’ e il treno sarebbe entrato in stazione.
E’ incredibile, pensò, con quanta facilità sono riuscita a staccarmi dal mio mondo, dai problemi, e anche l'ansia che solo stamattina mi stringeva nella sua morsa, che fine ha fatto?
Si sentiva calma, leggermente strana, come chi si trova a recitare una parte e a godere del raro privilegio di potersi osservare con gli occhi di uno spettatore... così mise a fuoco i passeggeri, i compagni con i quali aveva spartito le ore del viaggio, dei quali aveva ascoltato le storie... ecco l'anziana signora che andava a raggiungere sua figlia, il giovane che tornava a casa, in licenza, l'uomo d'affari che aveva rinunciato a consultare i suoi incartamenti per prendere parte alla conversazione.
Tutti personaggi di una breve rappresentazione che stava per aver termine, dal momento che ognuno si apprestava a scendere.
Di lei sapevano che aveva trovato il coraggio di partire, che era ansiosa di ritrovare la sua amica per trascorrere insieme una breve vacanza, quello che non immaginavano era la cospicua dose di tranquillante che aveva ingurgitato, la stessa che le aveva disteso il sorriso e acceso la luce negli occhi.
- Complimenti! Sembra più giovane della sua età!
L'aveva detto qualcuno, e lei subito si era sentita una ragazzina, si era vista giovane, incosciente e piena di vita.
Comunque era andato tutto a meraviglia. Sarebbe arrivata in tempo utile per prendere la corriera, e poi finalmente i monti... e Arlette! Cinque lunghi giorni con Arlette! Da sole, senza mariti... (quello di lei), senza orari e senza legami. Un sogno!
Arlette l'attendeva sulla soglia della sua nuova casa di montagna.
Era proprio tutto come aveva immaginato, un quadro che avevano dipinto insieme per lungo tempo, una pennellata qua e là perchè ogni cosa fosse perfetta.
Sullo sfondo le montagne, al centro loro due strette in un abbraccio senza parole. Intorno il silenzio e una luce piena di gioia.
- Ce l'hai fatta! Ce l'hai fatta!
- Sì! Sì! Ridendo.
Le parole e i racconti potevano aspettare.
- Entra, mettiti comoda! Ti piace la cucina? E il saloncino? Guarda le stanze... questa è la tua!
- Mi piace tutto! Davvero! Ma ora vado in bagno, un attimo, mi do una rinfrescata.
- Io intanto ti preparo un caffè, va bene? (La voce arrivava dal piano di sotto).
-Benissimo, grazie.
Una rapida occhiata allo specchio: sembrava proprio un'altra persona.
Nella pausa-caffè domande e risposte, a raffica.
- Ma “lui” è fuori?
- Sì, torna domenica.
- Lo sa che sono qui?
- No, oggi no, ma sa che saresti venuta, per questo è partito tranquillo...poi lo chiamiamo.
Arlette decide che l'amica è stanca, che dovrebbe riposare, lei pensa che l'effetto del calmante “perduri” visto che comincia a sentire una leggera sonnolenza.
Arlette insiste, e aggiunge che andrà a sbrigare una commissione con una vicina, roba di una mezzora, poi le racconterà.
- Tu intanto ti riposi, o ti guardi intorno... prendi nota degli errori!
- Errori? Non ne vedo...Vai, e torna presto!
Arlette è già andata, la porta si chiude con un piccolo scatto.
Si fa una rapida doccia, non le va di dormire. Si dedica alla ricognizione della libreria. Ecco i libri di Arlette, i “loro libri”: ci sono quasi tutti.
Sul divano un nuovo romanzo. Parla di un rapimento... in Afganistan, terra di banditi!
Si distende a leggere, la storia la cattura sin dalle prime righe.
Si ritrova con una mano premuta sul volto, davanti due occhi neri che la trafiggono e una voce:
- Zitta! Fai quello che dico e non ti succederà niente!
Si agita come una serpe, ma qualcuno la solleva come un fuscello e la porta via, sono in due, uno è in attesa al volante di una macchina e manco si volta, l'altro la stringe a sè come avesse tra le mani un sacchetto... S’infila in macchina, la tiene tra le braccia con aria di possesso.
- Stai calma, ché non ti succede niente!
(Sta dormendo, se ne vuole convincere...)
La macchina si avvia velocemente, senza rumore. Vede scorrere alberi e case, poche, e la testa di chi guida, un berretto e occhiali scuri.
Il suo padrone puzza, ha un odore acido insopportabile, lei si sente ancora tutta bagnata, e poi ha perso gli occhiali, come farà a leggere?
Viaggiano per un tempo interminabile, pensa ad Arlette che non la troverà al suo ritorno e sarà disperata...Si mette a piangere con singhiozzi convulsi.
- Falla smettere! Sennò ci penso io!
E' la voce di chi guida, la colpisce l’italiano perfetto, senza accento.
Niente più case, solo alberi e montagne, poi sono arrivati.
Questa volta la porta in braccio come una bambina, o come una sposa, entrano.
La baita è di legno annerito impregnato di cento odori, su tutti prevale il fumo stantio e l'unto della sporcizia.
Le libera il volto dalla manaccia e l'adagia su una specie di branda.
Lei salta su, come un cobra... è così che si sente, invece il cobra è negli occhi dell'uomo, tondi, neri e minacciosi.
- Ecco, qui puoi strillare quanto vuoi, non ti sente nessuno!
L'amico è fuori che traffica intorno alla macchina.
- Chi siete? Che volete?
-Soldi, solo soldi! Tuo marito pagherà e tornerai a casa! Dipende da lui...
Pensa velocemente: -Mio marito? Quale marito? Solo Arlette ha il marito.
In un lampo si dice:- Questi sono capaci di andare a prendere anche Arlette, oppure visto che...la faranno sparire!
Pensano che lei sia Arlette, bene! Glielo lascerà credere...che chiedano pure il riscatto, intanto Arlette avrà già trovato i suoi occhiali, il libro...avrà capito tutto e messo in moto ogni cosa!
-Ho sonno, risponde - Tanto sonno!
- Meglio così. Ma non cercare di scappare!
Il brutto ceffo si allontana chiudendo a chiave la porta.
Lei piomba nell'oscurità della baita e della coscienza. Evviva i tranquillanti! Dio li benedica!

Si risveglia al rumore delle stoviglie con lo stomaco che si contorce dalla fame, intorno aleggia un delizioso profumo di buon cibo.
Arlette le è accanto con i suoi occhi ridenti e il viso cosparso di puntini dorati..le sue lenticchie!
- Hai dormito un bel po’! Forza, pigrona, vieni a mangiare!
- Io...Tu...
Non riesce a parlare. Il libro è lì, gli occhiali pure.
Afganistan…
Forse, dopotutto, ha dormito davvero.

sabato 29 agosto 2009

L'arte d' "insabbiare"


EDITORIALE
Insabbiare
di EZIO MAURO da Repubblica.it

Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica, per chiedere ai giudici di fermarle, in modo che non sia più possibile chiedergli conto di vicende che non ha mai saputo chiarire: insabbiando così - almeno in Italia - la pubblica vergogna di comportamenti privati che sono al centro di uno scandalo internazionale e lo perseguitano politicamente.

E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che gli vengono rivolte. Ed è la misura delle difficoltà e delle paure che popolano l'estate dell'uomo più potente d'Italia. La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda, il Capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità, impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta.

In questa svolta c'è l'insofferenza per ogni controllo, per qualsiasi critica, per qualunque spazio giornalistico d'indagine che sfugga al dominio proprietario o all'intimidazione di un potere che si concepisce come assoluto, e inattaccabile. Berlusconi, nel suo atto giudiziario contro Repubblica vuole infatti colpire e impedire anche la citazione in Italia delle inchieste dei giornali stranieri, in modo che il Paese resti all'oscuro e sotto controllo. Ognuno vede quanto sia debole un potere che ha paura delle domande, e pensa che basti tenere al buio i concittadini per farla franca.

Tutto questo - la richiesta agli imprenditori di non fare pubblicità sul nostro giornale, l'accusa di eversione, l'attacco ai "delinquenti", la causa alle domande - da parte di un premier che è anche editore, e che usa ogni mezzo contro la libertà di stampa, nel silenzio generale. Altro che calunnie: ormai, dovrebbe essere l'Italia a sentirsi vilipesa dai comportamenti di quest'uomo.

(28 agosto 2009)

Da una rapida esplorazione sul web ho rilevato che la Stampa Estera si interroga con preoccupazione e sconcerto sulle ultime vicende del nostro Paese.
Ci si chiede perchè un giornale non possa formulare domande al Premier e si evidenzia che é il primo caso in cui, anzichè rispondere, si chiama in causa la Magistratura.
Ho altresì verificato che anche il mondo dei blogs risente fortemente del clima d'intimidazione in cui oggi viviamo.
Sono indignata e avvilita! e.b

giovedì 27 agosto 2009

Un po' di sano ottimismo di AnnaMaria Lepore

La mia assenza sul blog é stata determinata dalla resa del p.c. che ora, debitamente sostituito, mi consente di essere nuovamente con voi.
Vi propongo due segnalazioni di libri da parte di una persona a me cara, accanita lettrice come me.

UN PO’ DI SANO UMORISMO

"Sono ben due i libri che dalle vetrine del libraio assicurano genuino divertimento : “Zia Mame” (di Patrick Dennis, ed. Adelphi) e uc“Guida celli dell’Africa orientale” ( di Nicolas Drayson, ed.Piemme).
“Zia Mame” è quest’anno lo scoop estivo dell’Adelphi che, con una felice intuizione, ripropone un best-seller americano di mezzo secolo fa (da cui fu tratto anche un godibilissimo film) e incontra ancora il pieno gradimento dei lettori, a riprova del fatto che un libro indovinato sfida agevolmente il tempo rimanendo sempre di moda: è un elogio dell’eccentricità e dell’originalità al limite della stravaganza, che delinea con umorismo fine ma irresistibile un ritratto di donna allegramente anticonformista, la cui attività educativa tuttavia, (le viene affidato un nipotino rimasto orfano) risulta alla fine piena di saggezza intuitiva. E si ride spesso e volentieri leggendo questo libro, trascinati dalle vicende della protagonista che – esemplarmente americana – persino di fronte alla crisi del ’29 non si dà per vinta, e le inventa tutte per mantenere il suo eccentrico stile di vita e trasformarsi… rimanendo invariabilmente se stessa.
Pur con questi brevi cenni spero d’avervi invogliati a non negarvi il piacere di questa lettura assai vicina – nel tono – ad una commedia brillante e pertanto gradevolmente distensiva : il che non è poco in questi nostri tempi non proprio spensierati. Invece è dell’altro libro che vorrei parlarvi un po’ più diffusamente : “Guida agli uccelli dell’Africa orientale”. Mi guarderei bene, naturalmente, dal proporvi un trattato di ornitologia; si tratta invece di un delicato romanzo d’amore che deve il suo titolo all’essere ambientato in Kenia (Nairobi) tra cultori della ricchissima avifauna locale che – in questo caso – funge da “galeotto”.
I protagonisti di questa storia d’amore (lui – lei – l’altro) sono tutti attempatelli (ammettiamolo: oltre i cinquanta) ma non per questo meno inclini alla passione o meno desiderosi di concedersi ad essa : lei è una vivace signora che, pur in età non più verde, guida con infaticabile entusiasmo un drappello di appassionati in escursioni settimanali alla scoperta degli uccelli dell’Africa orientale ; lui, come lei non più giovane, è un signore onesto e cortese, un gentiluomo d’altri tempi come forse se ne è perso lo stampo, una rarità in questi nostri giorni in cui “troppo spesso si onorano i furbi e si deridono i giusti” (Michele Serra, La Repubblica) ; l’altro, un loro coetaneo, è invece un tipo un tantino spregiudicato e senza troppi scrupoli nell’architettare astuzie per ingraziarsi la signora e “soffiarla” al suo innamorato.
La vicenda si impernia su di una scommessa, della quale però la dama è all’oscuro: vincerà il diritto di entrare nelle sue grazie chi entro una settimana scoprirà il maggior numero di esemplari rari nell’avifauna locale. La scommessa, con tutto un suo spassoso cerimoniale di regole dal sapore ottocentesco, è resa possibile dall’ambiente compassato dell’esclusivo club cittadino nel quale i protagonisti maschili, e i gentiluomini del luogo, conducono amenamente molto del loro tempo discettando con grande serietà su argomenti del tutto campati in aria. E il divertimento, per il lettore, nasce proprio dal contrasto – sottilmente evidenziato dall’autore – tra la totale vacuità delle questioni dibattute e l’assoluta, contegnosa serietà con cui vengono affrontate, in un linguaggio forbito e con ampio periodare: alcune sono semplicemente esilaranti. In un clima siffatto, lui conduce sommessamente e vince la sua battaglia d’amore, e noi siamo tutti contenti di questo “lieto fine” che vede i buoni premiati, cosa che quasi mai succede nella realtà, dove la vita è bella per pochi mentre i più si immergono volentieri in favole che appaghino un bisogno diffuso di giocondità ma anche di giustizia.
Mentre con “Zia Mame” si ride, con questo libro si sorride, ma intanto si apprezzano volentieri la perizia psicologica con cui sono tratteggiati i personaggi, il tono finemente umoristico di una narrazione pur sostanziata di intima serietà, la tecnica dell’interruzione frequente delle vicende al fine di creare suspence, nonché l’accurata preparazione di atmosfere solenni intorno ad eventi…tutto sommato insignificanti! Ma soprattutto penso che non ci si debba lasciar sfuggire, in questo libro, lo sguardo indulgente e persino tollerante dell’autore che, sotto il velo dell’umorismo e talvolta della canzonatura, guarda sorridente al vario affaccendarsi degli esseri umani senza giudicarli anzi quasi compatendo fraterno la vanità dei loro affanni."
AnnaMaria Lepore

venerdì 14 agosto 2009

Omaggio alla bellezza


Anche quest'anno la mia pianta di Ibisco mi ha gratificato dei suoi fiori scarlatti, uno per ogni giorno...finchè i miei occhi distratti hanno smesso di registrare quel piccolo miracolo quotidiano.
Ci si può abituare alla Bellezza fino a non apprezzarla più? E' un pensiero che mi assilla, un dubbio che mi addolora.
Purtroppo siamo assediati da notizie terribili: disgrazie, disastri, ingiustizie, falsità, e poi corruzione, e delitti efferati che i media si affrettano a comunicare perchè si capisca che al male e al brutto non c'è rimedio.
I nostri cuori palpitano, tristi e impotenti, soffrono per la prospettiva di una vita poco attraente, per noi, per i nostri figli, per l'Umanità tutta.
La Bellezza della natura è però intorno a noi, è un'Oasi di pace alla quale possiamo e dobbiamo attingere.
Sul mio balcone fioriscono imperterrite le petunie:bianche, lilla, viola...hanno petali delicati che "bevono" i raggi impietosi del sole, resistono al vento e "urlano" al mondo la loro voglia di vivere.
Voglio condividere con le mie amiche più care i miei pensieri, e l'immagine delle mie petunie.

La petunia.

storia: E’ originaria del Brasile, dove cresce spontaneamente ai margini delle foreste. In Europa la petunia è giunta per merito del coraggio e dell’audacia dei botanici-esploratori, che si addentravano nelle foreste, rischiando la vita, per scoprire nuovi tipi e varietà di piante di cui ignoravano l’esistenza. La petunia riesce a produrre un gran numero di fiori e, proprio per questo, è il simbolo dell’amore che non si riesce a nascondere.

arte: Il nome deriva dal brasiliano "petun", con il quale viene indicato il tabacco, pianta appartenente alla stessa famiglia.
in giro per il mondo:In America la petunia viene chiamata con i nomi di "fiore degli Atzechi", "fiore dei Comanches" e "pianta dei Sioux".

nome botanico:Petunia
famiglia: Solanaceae

breve descrizione: Il genere comprende 40 specie di piante erbacce che sviluppano ampi cespugli, densamente ramificati, alti 25-60 cm, e che presentano spesso fusti prostrati o ricadenti; le foglie, di colore verde chiaro, sono ricoperte da una sottilissima peluria, al tatto risultano leggermente appiccicose, ed emanano un caratteristico profumo. I fiori, a corolla tubolare, sono solitari e sostenuti da peduncoli terminali o ascellari. Presentano tutta la gamma dei colori, dal bianco al rosa, dal viola al blu. La porzione tubolare della corolla è quasi diritta, mentre il suo margine si presenta largo e pentalobato. Esistono in commercio numerosissimi ibridi e cultivar, anche a fiori doppi o con corolle frastagliate o dall'aspetto stropicciato.
durata: Perenne, ma coltivata come annuale
periodo di fioritura:Molto abbondante, si protrae dalla metà della primavera alla metà dell'autunno
area di origine:Per lo più originarie dell'America Meridionale, in particolare del Brasile
clima:Temperato
uso: Le petunie sono note per la bellezza dei fiori, da coltivare in vaso o fioriera. Vengono, quindi, coltivate in giardino le cultivar a portamento eretto, e in vaso, sui terrazzi, le forme sia erette sia ricadenti.

giovedì 13 agosto 2009

Aung San Suu Kyi


San Suu Kyi: Una donna coraggiosa

E’ di ieri la sentenza di condanna a diciotto mesi di detenzione ai domiciliari per la “Signora” divenuta simbolo della resistenza birmana ad un regime che non ha in nessun conto i diritti umani, e nemmeno contempla la lontana ipotesi di cedere il paese ad un governo democraticamente eletto.
In prima istanza Aung Sang Suu Kyi era stata condannata a tre anni di carcere, ma la Giunta militare presieduta dal generalissimo
Than Shwe , che non si cura delle proteste interne e tantomeno di quelle internazionali, ha ritenuto che misure più compassionevoli sarebbero state sufficienti ad ottenere lo scopo prefissato di escludere, di fatto, la leader dell’opposizione dalle prossime elezioni.
I fatti che hanno portato alla sentenza sono noti.

Vale la pena di leggere il Reportage di Raimondo Bultrini sulla Birmania pubblicato da Repubblica martedì 11 agosto per comprendere i profondi mutamenti che ha subito il Myanmar(nome ufficiale della Birmania dall’89).
“ Molti sentono di essere stati abbandonati dallo Stato, per questo non escluderei la possibilità di una nuova protesta in occasione della condanna di un’icona popolare come Aung San Suu Kyi” come ci dice un ex monaco che dopo le rivolte di due anni fa ora fa la guida turistica.” Del resto, ben pochi, oltre ai soldati, oggi saprebbero come tenere in pugno il paese. Nemmeno la nostra Lady immagina più, se non per sentito dire, com’è fatta la sua Birmania: 800 kjatt al mercato per il riso, il salario di un giorno; 20.000 dollari per una macchina scassata, le file dei mendicanti, degli orfani e dei bambini di strada che bussano nei conventi per ricevere un po’ di educazione dai monaci, a loro volta sotto stretto controllo del regime.”
“Se la corrente elettrica viene razionata fino a 12 ore in tutte le città, e ancor di più in campagna, la rete dei cellulari funziona solo a tratti. Ma per ora è un problema per meno del 3% della popolazione.
Nel resto del paese è ancora pieno Medioevo.
Solo i tecnici cinesi, russi e indiani si sentono a casa, dentro auto scure attraversano le vaste arterie semideserte. Con i generali fissano il prezzo delle pietre, dell’uranio e del gas prodotto al largo di Sittwe.
Che siano risorse dell’intero popolo birmano è un dettaglio che non li riguarda.
Chi ha scelto di fare affari con la Giunta non vuole nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di un cambiamento. L’alternativa è una donna rimasta isolata per vent’anni tra casa e prigione.”

L’Onu e la Ue hanno chiesto subito il rilascio di San Suu Kyi, lo stesso ha fatto il presidente Usa Barack Obama chiedendone la liberazione immediata e incondizionata.
E’ di oggi la notizia che la Cina è determinata a “Rispettare la sovranità della Birmania”.
Per ora la Comunità internazionale resta muta, come San Suu Kyi che, ovviamente, non può far sentire la sua voce.

martedì 11 agosto 2009

Quadri della memoria di e.b.



Reparto Rianimazione

Non puoi sbagliare, una grande scritta te lo indica in modo impietoso, inequivocabile…
Il Pronto Soccorso è lì, accanto, nell’incoscio assorbi le parole con relativo significato e riesci a pensare, questione di attimi, che un Pronto Soccorso dà pur sempre una speranza mentre R- I- A –N- I- M- A- Z- I- O- N- E è una di quelle parole che ti frantumano il fiato.
Senza respiro ti catapulti all’interno, come se la Salvezza dipendesse dalla velocità dei tuoi passi.
Gli infermieri, che ti bloccano, hanno tutti la stessa faccia, e la stessa divisa verde.
La statura e la corporatura cambiano, ma l’espressione è assai simile, un miscuglio d’indifferenza e rassegnazione.
I medici hanno i camici bianchi, sono consapevoli del proprio ruolo e te lo comunicano guardandoti con uno sguardo da ciechi, si dissolvono in fretta, come apparizioni.
La prima volta non sai cosa aspettarti e nemmeno ci pensi, sai solo che lì il tuo AMORE sarà riportato in vita, altrimenti che senso avrebbe la Rianimazione?
Medici e infermieri diventano per te Angeli, tutti più vicini al Signore di quanto tu sia mai stato…con poteri infiniti, ai quali baceresti mani e piedi se te lo permettessero.
Poi ti ritrovi dietro una porta sbarrata insieme con altri che aspettano, come te, che all’orario stabilito si possa entrare, uno per volta e in tuta antisettica, per verificare con i tuoi occhi se “il miracolo” si è compiuto.
Entri e vedi una serie di letti, con corpi sdraiati e indifesi, collegati a macchine silenziose che emettono piccole luci, avvolti da una selva di tubicini.
- Dov’è il mio amore?
Ti muovi con passo leggero e il cuore che ti scoppia: hai paura, paura di non vederlo, poi è lì, e respira, ha gli occhi chiusi, ma cosa importa?
Gli parli col fiato che ti resta, gli dici di star tranquillo, chè va tutto bene, lo accarezzi sul viso con mano lieve e gli rinnovi il tuo amore con la promessa di stargli accanto sempre, gli dici che non ti permettono di trattenerti, ma sei fuori, appena accanto, anche quando non ti vede.
Ogni letto ha vicino un famigliare che sussurra e combatte con la voglia di piangere, ma ti sembrano avvolti dalla nebbia,in un silenzio irreale.
Ti allontani con il cuore in pezzi, desiderando di essere almeno un camice verde…un angelo autorizzato a restare.
Gli angeli, chiusi nel loro gabbiotto trasparente, ti lanciano un’occhiata distratta…picchietti sul vetro e li costringi a vederti. Uno si alza e tu gli chiedi l’elemosina di una parola che per te possa dire SPERANZA.
Vorresti aggiungere che anche il tuo cuore sta cessando di battere, ma non lo fai, ti allontani stringendo tra le mani il piccolo obolo che ti hanno elargito.
Fuori, nell’anticamera, ti ritrovi con chi ancora aspetta e tutti chiedono notizie, come se la salvezza di uno potesse assicurare la salvezza di tutti…
Pensi che tu gli altri, prima, nemmeno li hai visti e un po’ ti dispiace perché quelli che soffrono ora li vedi, sono tutti lì.
Scambi qualche parola del tipo, coraggio! Dobbiamo sperare…qui sono in buone mani! Parli per loro e per te, qualcuno ti ascolta, qualche altro piange in silenzio.
-A domani!
Di sorridere non hai nessuna voglia, ricominci a pregare.

venerdì 7 agosto 2009

Poesie di Paolina Messina


Ci sono giorni

Ci sono giorni
che lasciano il segno
come una sferza
sulla carne viva
e a lungo ne senti il bruciore
tra le pieghe del cuore
e senti addosso
il peso del mondo
che arranca trascinando
la sua millenaria storia
di ordinaria follia.

*****

I silenzi

Ci sono muri di ostinati silenzi
su cui si frantuma o rimbalza la parola
Sia essa coppa di fine cristallo
o macigno che rotola eA affonda
ogni palpito d'ali
E ci sono silenzi che urlano
e chiedono uno sguardo
una parola un gesto
che ti scansi dall'abisso
a chi ti ascolta e non sente
a chi ti guarda e non vede

****

A volte

A volte sento che di me
vive solo una piccola parte
Come qull'albero di limoni
che l'incendio dell'estate
ha quasi del tutto ingiallito
Ma tra le fronde secche
un ramo ancora verde
si ostina a non morire.

Le poesie sono tratte dalla silloge Tra frantumi di case

Non chiedetemi perchè queste tra tante, so dirvi solo che rileggendo l'opera ho trovato una parte di me.