venerdì 28 novembre 2008

Un fiore, una gioia per gli occhi.



Sono stanca di disastri, delitti, condanne, orrori quotidiani, provvedimenti per arginare una recessione annunciata, proclami poco credibili di addetti ai lavori e non...Sono esausta! E allora?
Mi rifugio sul mio balcone avvolto da un caldo sole, nonostante l'aria piuttosto gelida, a contemplare con occhi speranzosi le mie amate piante.
Il bilancio dovrebbe essere simile ad un bollettino di guerra: morti e feriti in quantità.
Mi rifiuto e mi concentro sull'ibisco che con un fiore rosso vermiglio si impone al mio sguardo e mi riempie di gioia.
E pensare che ad inizio estate avevo comprato la pianta con scarsa convinzione, convinta però dallo sguardo sincero di un venditore che mi aveva assicurato:- Vedrà che non si pentirà! Fiorirà sempre, fino all'inverno, finchè potrà catturare un raggio di sole!
Così è stato, ogni giorno un nuovo fiore che dura solo il tempo di un giorno.
Quanto basta per risollevarmi lo spirito!
Amo profondamente il mio ibisco, lo ammiro per la sua tenacia, lo ringrazio per essere entrato nella mia vita, al pari di amicizie inaspettate che mi trasmettono calore e vicinanza quando ho l'animo buio. La Bellezza può assumere tante forme...non voglio dimenticarlo!

L'ibisco

L’Ibisco appartiene alla famiglia delle Malvacee e proviene dalla Cina. Il nome di tale fiore ha origini greche ed è legato ad uno dei più famosi medici dell’antichità e profondo conoscitore delle capacità curative della piante, Dioscoride. Quest’ultimo, vissuto nel primo secolo dopo Cristo, utilizzò il nome di Ibiskos per definire la malva, una pianta spontanea che cresce nei territori affacciati sul Mediterraneo.

È particolarmente amato nelle isole della Polinesia e soprattutto a Tahiti, dove le ragazze portano tale fiore tra i capelli, mentre i ragazzi ne appoggiano spesso uno sopra l’orecchio. Tale abitudine, in realtà, ha un significato nascosto; se il giovane, infatti, è fidanzato lo porterà a destra, altrimenti mostrerà la sua disponibilità a conoscere altre persone.

L’ibisco è il più noto tra i fiori impollinati dagli uccelli e proprio per la leggerezza sericea dei fiori e per la loro breve durata, si dice che chi regala l’Ibisco vuole fare omaggio alla bellezza elegante ed effimera.

Una foto e mille domande dalla Dimora del tempo sospeso


« In difesa di un diritto costituzionaleA ogni paese il suo primato
By francescomarotta

lunedì 24 novembre 2008

Poesia di Antonio Ruggiero

ANTONIO RUGGIERO
Nato a Napoli il 18 agosto 1953. Scrive da oltre 20 anni prediligendo il vernacolo napoletano. Nel 1991 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie napoletane dal titolo Napule sott'e'ncoppa con la prefazione di Roberto Murolo - edito da " Riemma ".

Nel 1993 ha pubblicato il poemetto Pruciesse 'Nparaviso con la prefazione di Vittorio Paliotti - edita da " Il Girasole ".
Nel 1998 ha pubblicato la raccolta di poesie napoletane Viche e Vicarielle con la prefazione di Renato De Falco - edita da " Il Girasole ". Nel 2001 ha pubblicato la raccolta di poesie Cchiù a ssud do sud edita da " Il Girasole ".
Si è imposto quale vincitore e finalista in prestigiosi premi letterari . Ha pubblicato su Il Mattino, Il Giornale di Napoli e su altre testate. Ospite in manifestazioni di beneficenza e in trasmissioni televisive e radiofoniche. Attualmente incontra i ragazzi delle scuole per la conoscenza e la sopravvivenza del parlar napoletano.

L'intento dell'autore è quello di dare agli amanti della poesia napoletana il piacere di scoprire cose che spesso sfuggono all'attenzione per le problematiche della vita quotidiana e per la diffusione e la sopravvivenza del parlar napoletano.

Ho scoperto le poesie di Antonio Ruggiero per caso e ne sono stata conquistata...merito del poeta, ma anche della mia familiarità con il "parlar napoletano" della mia infanzia. Certe espressioni restano nel cuore oltre che nella memoria.

Nu sottofondo ‘e museca africana,
me trase ‘mpietto e sceta nu penziero;
use e ccustume ‘e popule luntane,
dint’’a malincunìa ‘e ‘na faccia nera.

‘Na faccia assaje cchiù nnera d’’o ggravone,
e ddint’ a ll’uocchie tanta nustalgìa;
guardann’’e stelle, dice bbell’ e bbuono…
“Chisà si ‘e sta guardanne mamma mia.”

E ppaccarianno sòna, sòna ancora,
nu par’’e bbonghe, sì, dduje tammurrielle,
cu’ nu tam-tam ca ‘ntennerisce ‘o còre,
sott’ a nu cielo chino-chin’’e stelle.

Sera d’Abbrile, sera ‘e primmavera,
io veco ll’Africa dint’ a cchill’uocchie;
sarrà nu sortileggio o sarrà overo,
veco nu populo ca s’addenocchia.

E vveco ‘a mamma soja ca stenn’’a mana,
‘o pate suojo ca sòna…E nun è ssuonno!
A ll’intrasatto sento chianu-chiano,
nu suono tal’ e qquale ca risponne.

E dd’’a malincunìa, ll’urdemo velo,
scumpare ‘a dint’ a ll’uocchie, e ss’avvicina;
me dice: “Saje pecché guardamme ‘o cielo?…
Pecché llà ‘ncoppa nun nce sta cunfine.

sabato 22 novembre 2008

Giornata internazionale Diritti infanzia e adolescenza

INFANZIA: 37 MLN BIMBI SENZA ISTRUZIONE A CAUSA GUERRE

(ASCA) - Roma, 20 nov - A causa della guerra 37 milioni di bambini e bambine nel mondo sono oggi esclusi dall'istruzione.

E sono almeno 250.000 i minori - di cui il 40% bambine - impiegati in 17 conflitti armati come soldati, spie, facchini, cuochi, ''mogli'' dei combattenti (nel caso delle ragazze) e arruolati in eserciti non governativi in almeno 24 nazioni e territori.

Sono le cifre diffuse da Save The Children nella Giornata Mondiale dell'Infanzia in occasione della quale l'associazione ', affiancata da 31 premi nobel, ha inviato una lettera aperta ai leader del mondo per chiedere il rispetto dellla Convenzione del Fanciullo.

Negli ultimi 15 anni, ricorda l'associazione, l'80% delle vittime civili delle guerre sono stati donne e bambini.

Almeno 2 milioni di bambini sono morti uccisi dal fuoco delle armi e 6 milioni sono stati feriti, resi disabili o hanno subito traumi psicologici, obbligati ad assistere a terribili atti ed episodi di abusi e violenze. Si stimano in 22 milioni i minori profughi e sfollati a seguito di guerre. Le cui conseguenze vanno oltre la fine delle ostilita': si calcola che ogni anno siano tra 8.000 e 10.000 le giovani vittime di ordigni esplosivi, in particolare delle mine rimaste sul terreno.

res-mpd/dnp/alf

In questa giornata "speciale" un invito a riflettere sulle nostre convinzioni più profonde, quanto è importante per noi la vita di un bambino? Per noi i bambini sono tutti ugualmente preziosi e insostituibili? Riconosciamo ai nostri bambini e a quelli di ogni altro essere umano i Diritti sanciti dalla Convenzione internazionale ONU del 1949?

I tuoi occhi neri di Piera Maria Chessa

Lacrime amare
sul tuo viso minuto,
uno sguardo smarrito,
i tuoi occhi neri
mi colpiscono al cuore.
Ti aggiri spaesata
trascinando con fatica
i tuoi sei anni violati,
i brutti ricordi
per pochi istanti allontanati.

Trascorrono i giorni
e coprono le ore scure
del tuo breve passato.
Non parli né racconti,
solo un viso di madre
a volte affiora labile
da qualche parola pronunciata
stringendo la mia mano.

Un nome, un sentimento ancora vivo,
talvolta il pianto
che riconduce lontano
da chi non seppe darti
quello che tu chiedevi
invano.

martedì 18 novembre 2008

Piccoli passi delle donne in Afghanistan

Le donne ci provano, vogliono studiare, vogliono cambiare la loro vita, in un paese che le umilia, le discrimina, le opprime e punisce ogni loro tentativo di progredire.
Vale la pena di leggere una storia di coraggio in un paese dove l'istruzione delle donne è ancora considerato un atto di ribellione, da scoraggiare con ogni mezzo!
L'articolo è tratto da Repubblica.it del 16/11/2008.

Orrore in Afghanistan, ma la ragazza resiste
"Andrò avanti anche se mi colpissero cento volte"
Shamsia, sfigurata perché va a scuola
"Non mi arrendo, voglio studiare"

KABUL - Camminano tranquille, scherzano fra loro, ridono persino. E se è necessario rivolgono la parola agli uomini. Le giovani donne di Kabul scelgono il velo nero che copre i capelli, ma lascia fuori il sorriso. Oggi nella capitale i fantasmi azzurri con il burqa sono una minoranza, forse tre donne su dieci. E per queste disgraziate il velo integrale non serve a nascondere la bellezza, come vuole la lettura più retriva del Corano, ma a salvare i resti della loro dignità mentre chiedono il bakshish, l'elemosina.

Ma per gli integralisti di Kandahar imporre la copertura del volto non basta. L'esempio l'aveva dato Gulbuddin Hekmatyar, il signore della guerra che già negli anni Settanta, da studente universitario, aveva gettato acido sulle colleghe colpevoli di andare a lezione con il viso scoperto. Da quel debutto significativo sono passati quasi quarant'anni, e sotto il suo burqa la giovanissima Shamsia non si aspettava di essere aggredita mercoledì scorso assieme ad altre 14 ragazze con lo stesso sistema, solo perché era diretta al liceo femminile Mirwais Nika. A dar scandalo, per i due fanatici armati di pistola ad acqua carica di acido solforico, non era l'esibizione del volto, che era nascosto dietro il tessuto celeste. Era scandaloso che a diciassette anni Shamsia non accettasse di tornare al Medioevo, che si ribellasse al destino tracciato dai Taliban, e che volesse studiare come i coetanei maschi. Così l'hanno colpita, sfregiandole il volto e sperando di spaventarne l'animo.

Ma Shamsia è la generazione nuova, quella delle donne che costruiranno il nuovo Afghanistan. "Voglio continuare con la scuola, anche se dovessero uccidermi", ha subito detto dal suo letto d'ospedale: "Ecco il messaggio per i miei nemici: andrò avanti, anche se mi colpissero cento volte". Con tutta probabilità Shamsia se la caverà con qualche brutta cicatrice. Non importa che sia stata un po' di fortuna nella disgrazia, o che sia paradossalmente merito del burqa che l'ha protetta dall'acido. Quello che conta è che indietro non si torna, nonostante la campagna di violenze, nonostante stupri ed esecuzioni sommarie, come quella delle due inservienti di Ghazni, giustiziate per strada in quanto "prostitute" perché lavoravano nella locale base Usa.

Per le donne d'Afghanistan le notizie degli ultimi mesi sono un bollettino di guerra. L'Organizzazione afgana per i diritti umani ha lanciato l'allarme e ha chiesto un intervento del governo: gli abusi sono in aumento e quasi sempre a danno di bambine. Nella provincia di Jowzian fra le vittime di stupro c'è anche una creaturina di due anni e mezzo. A Sarpul la dodicenne Anisa ha subìto uno stupro di gruppo, e la famiglia ha minacciato un suicidio di massa se non avrà giustizia. Ma sull'apparato giudiziario afgano nessuno si illude. Nella provincia di Sar-e-Pul cinque funzionari di polizia sono stati licenziati per non aver indagato sulla violenza a una dodicenne. Abdul Hameed Aimaq, senatore di Kunduz, ai microfoni della Bbc ha sparato a zero: "I tribunali sono corrotti. I procuratori sono corrotti. E nessuno ne chiede conto. Per questo ci sono omicidi, violenze, furti e tutto il resto. In realtà il governo non esiste". Non c'è scampo nemmeno all'interno del matrimonio. Quando le nozze combinate dalle famiglie sono sgradite e i mariti le maltrattano, le ragazze si suicidano dandosi fuoco. I casi sono così frequenti che la Cooperazione italiana ha deciso di finanziare la costruzione di un nuovo reparto ustionati nell'ospedale Esteqlal di Kabul.

Persino i Taliban hanno sconfessato il gesto dei fanatici di Kandahar. Ma per Fawzia Koofì "è stato senz'altro un gesto terroristico. E la cosa più sconvolgente", dice la vicepresidente della Wolesi Jirga, la camera bassa del parlamento afgano, "è che sia successo in una grande città, non in un'area rurale. Questo dimostra che il problema non è l'arretratezza culturale. Il problema è la cultura dell'impunità, la certezza che chi commette violenza contro le donne va incontro a punizioni insignificanti. Il problema è che lo stesso Hamid Karzai ha graziato dopo solo due anni di carcere un condannato all'ergastolo per reati contro le donne".

Ma l'Afghanistan non è disponibile a tornare indietro fino ai tempi dell'apartheid sessuale più totale. La rivolta è fatta di gesti quotidiani e di piccoli passi. Una prova è sulle colline sopra Kabul, dov'è arrampicato il villaggio di Tangi Kalay. Qui padre Giuseppe Moretti ha fondato la "Scuola della pace" badando che fosse aperta a tutti, maschi e femmine, dei villaggi vicini. Le ragazze, racconta il sacerdote, sono un terzo del totale. In compenso la loro frequenza è più assidua, perché le famiglie spesso mandano i maschietti a lavorare. "Quando sono venuto per la prima volta in Afghanistan, nel '77, non c'erano nemmeno i burqa. E' stata una novità triste". Padre Giuseppe è coraggioso: la sua prima elementare è addirittura una classe mista. Perché lui lo sa, e lo dice apertamente: "Il futuro di questo paese è difficile e lontano. Ma è senz'altro in mano alle donne".

(16 novembre 2008) Tutti gli articoli di esteri

domenica 16 novembre 2008

Finchè avrò memoria - di Paolina Messina -

Finchè avrò memoria
dirò grazie all'Eterno
che nel sogno mi conduce
per strade di quiete
a rinfrancare la speranza
Non rinnegherò
le lacrime versate
Fu spinoso il sentiero
sul quale fui costretta
a camminare
Finchè avrò memoria
benedirò il Signore
che fu per me
largo di misericordia
Molte volte ho rischiato
l'abisso ma sempre
la Sua mano potente
mi riportò sulla via.

Una poesia che parla di memoria, di sentieri spinosi, di lacrime versate ma anche di quiete e speranza e soprattutto di Fede. Grazie, Paolina!

lunedì 10 novembre 2008

La "fabbrica dei bambini"

Da Repubblica.it-sezione Esteri

In una clinica per maternità ragazze schiave e violentate costrette a portare avanti la gravidanza e cedere il neonato
Orrore in una "clinica" nigerianaScoperta la "fabbrica dei bambini"

Bambini schiavi in NigeriaENUGU (Nigeria) - Nati per essere venduti. In Nigeria è stata scoperta una "fabbrica di bambini". Per tutti era una clinica per maternità, in realtà quello che si faceva all'interno, soprattutto di notte, era organizzare un traffico di neonati strappati al madri costrette con la forza alla gravidanza e messi sul mercato. Questo ha scoperto la polizia quando ha fatto irruzione nell'edificio di due piani di Enugu, nell'est del Paese. Quando gli agenti sono entrati hanno liberato una ventina di donne. Stando alla ricostruzione fornita dalle organizzazioni umanitarie di quella che è stata definita la più vasta operazione di polizia contro una rete di trafficanti di bambini, il medico responsabile della clinica attirava giovani donne che portavano avanti gravidanze non volute, proponendo loro di aiutarle ad abortire. Le adolescenti venivano invece rinchiuse fino al giorno del parto, quindi costrette a separarsi dal proprio bambino in cambio di circa 20 mila naira (135 euro). I bambini veniva poi venduti, generalmente a nigeriani, per una cifra che oscilla tra i 300 e i 450 mila Naira (2.000-3.000 euro). "Appena entrata, mi hanno fatto un'iniezione e sono svenuta - ha raccontato alla France Presse una delle donne liberate - quando ho ripreso conoscenza, mi sono resa conto che era stata violentata". La ragazza, 18 anni, è stata quindi rinchiusa con le altre donne. Il medico l'ha violentata di nuovo il giorno dopo, una settimana prima dell'intervento della polizia. Secondo la polizia, il medico "invitava" anche altri uomini "per ingravidare le ragazze".
Secondo le organizzazioni locali che si battono contro il traffico di essere umani, le fabbriche di bambini non sono rare in Nigeria, il paese che conta il più alto numero di abitanti del continente africano, 140 milioni. E anche se non esistono dati precisi sul numero di neonati destinati ogni anno alla vendita, gli attivisti sostengono che si tratta di un'attività molto diffusa, gestita da organizzazioni molto strutturate. "Pensiamo siano più grandi di quanto sappiamo", dice Ijeoma Okoronkwo, direttore regionale dell'agenzia nazionale per il bando del traffico di esseri umani. Secondo l'Unicef, sono almeno dieci i bambini che vengono venduti ogni giorno in Nigeria per usarli come manodopera, per farli prostituire o semplicemente per la cultura della sterilità come maledizione che ancora permea molti strati della popolazione del Paese. Le strutture simili alla clinica di Enugu scoperte finora nel paese sono almeno una decina.
"Tutto questo esiste da tempo, ma noi ne siamo al corrente solo dal dicembre 2006, quando un'ong ha lanciato l'allarme e ci ha segnalato che i bambini venivano venduti e che vi erano coinvolti gli ospedali", ha aggiunto. In alcuni casi, giovani donne molto povere ricorrono di propria volontà a questa pratica per avere denaro. Nella clinica di Enugu, "abbiamo trovato quattro donne che erano lì da tre anni, per fare figli", ha detto il responsabile locale per la sicurezza, Desmond Agu.
(9 novembre 2008)

Non me la sento di fare alcun commento. Solo domande che mi pongo vincendo l'orrore che mi attanaglia: come possono degli essere umani arrivare a tanto? Com'è possibile che ci siano ancora paesi nei quali la Vita ha ancora così poco valore? Perchè il mondo cosiddetto civile può continuare a indignarsi o commuoversi per piccoli fatti e non considerare realtà così terrificanti?



domenica 9 novembre 2008

Figure dal passato

Figure dal passato

Pasquale era ai nostri occhi di bambini desiderato e temuto allo stesso tempo. Compariva alla porta del giardino, denominata “portoncino”, con una certa regolarità, per ricevere gli “ordini” così diceva, mentre gli adulti lo accoglievano con indifferenza noi accorrevamo per assistere al piccolo spettacolo che lui aveva in serbo per noi.
Pasquale si mostrava avvolto da un corto mantello nero, con una coppola nera sotto la quale celava di certo i capelli, ma non i baffi che aveva lunghi e spioventi ai lati delle labbra occultate, e i baffi erano i veri ferri del mestiere, per quanto ci riguardava, riusciva a muovere i baffi verso l’alto e il basso simultaneamente, ma anche un baffo sì e l’altro no, insomma pareva proprio che i suoi baffi fossero dotati di vita propria.
I maschietti ridevano e Pasquale li richiamava all’ordine facendo gli occhi truci, le bambine emettevano piccole grida di terrore nascondendosi dietro i fratelli più arditi, era allora che Pasquale si lasciava andare a una sonora risata rivelando una candida chiostra di denti.
Lo spettacolo era finito e il pubblico decisamente soddisfatto, qualcuno chiedeva una replica, ma Pasquale rispondeva che i sui baffi erano “stanchi” e ci proponeva, a mò di consolazione, una breve passeggiata sul suo calesse che aveva parcheggiato nel vicolo, poco distante.
In attesa degli “ordini” ci tuffavamo all’arrembaggio del calesse con l’urgenza di conquistare i posti più ambiti, ma Pasquale ristabiliva l’ordine: le bambine al centro, i maschi ai lati, lui a cassetta.
Si partiva per un giro o due dell’ampia piazza sulla quale affacciava la nostra casa, il cavallo andava al piccolo trotto anche quando Pasquale a nostro beneficio faceva schioccare la frusta. Spesso invitava uno dei due maschi a sedere a cassetta accanto a lui, le bambine mai.
Mio fratello, il più piccolo, oggi ultracinquantenne, ebbe anche l’onore, più di una volta, di reggere le redini e ancora lo ricorda.
La mamma e la nonna ci guardavano dalla finestra e gridavano: -Pasquà, accorto a e’ creature! Pasquale esplodeva nella sua risata e lanciava il cavallo in un breve galoppo che ci entusiasmava. Un vero bandito!

( Pasquale ci regalava le carrube destinate al suo cavallo, io ho imparato ad apprezzarle per merito suo e se oggi mi capita, purtroppo raramente, di mangiarle ripenso all’infanzia e a Pasquale!
Chi è un estimatore di carrube può visitare il sito lpels che ha stimolato in me tanti ricordi.)

domenica 2 novembre 2008

Mediazione impossibile?

Da Repubblica.it un articolo di Daniele Mastrogiacomo che parla di Morte, di un Massacro che è in atto lontano da noi, in Africa, il continente nero del quale ci ricordiamo solo quando si parla di clandestini, vu cumprà, e lavoratori in nero.
Nel giorno della Ricorrenza dei defunti chiunque ricorda i suoi cari scomparsi con il dolore, mai sopito, di una perdita che solo il tempo in parte lenisce.
I nostri defunti continuano a vivere nella nostra memoria, nella nostra vita di ogni giorno, anche e soprattutto quando ci dibattiamo in mille difficoltà.
Ma oggi il ricordo è più pressante, l'assenza più tangibile!
Voglio dedicare questo post ad altri morti: donne, uomini, bambini lontani dei quali non si sa neanche il nome, solo il colore della pelle...nero, come il colore della Paura, della Morte, del Lutto.
In India il colore del lutto è il bianco, il colore della Luce senza la quale persino il sangue sarebbe indistinguibile da una pozza d'inchiostro!
Oggi voglio vestirmi di bianco, a lutto per un massacro in atto del quale si parla poco e con fastidio. Quando riusciremo a capire che la Vita di ogni essere umano ci appartiene? Che ogni attentato alla vita ci riguarda?


Missione di Kouchner e Miliband: il ministro degli Esteri francese"In atto un massacro mai visto in Africa"
Congo in fiamme, morti e saccheggi nell'assedio di Goma

DAL NOSTRO INVIATO DANIELE MASTROGIACOMO

Un campo profughi alle porte di GomaNAIROBI - Assaltati, saccheggiati, dati alle fiamme. Con la gente, in massa, in preda al panico, che afferra quello che può e fugge dai villaggi. Verso nord, verso est, verso la salvezza, le frontiere dell'Uganda e del Ruanda. Dietro, a pochi chilometri, si lasciano l'inferno, le capanne bruciate, le case in terra sbriciolate dai colpi di fucili, i sentieri ridotti ad un pantano dalla pioggia che arriva ad ondate dal cielo e trasforma i crateri provocati dagli obici dell'artiglieria in enormi pozzanghere. Il Nord-Kivu adesso è in fiamme. Nonostante la tregua unilateriale annunciata dai ribelli del generale Laurent Nkunda, gli scontri con l'esercito congolese sono ripresi. Goma, la città più importante della regione, mezzo milione di abitanti anche ieri appariva deserta. Chi non è riuscito o non ha potuto fuggire, resta tappato in casa. Ascolta le notizie alla radio, si affaccia dalle finestre. Tenta di capire cosa accade più a nord, verso i villaggi di Rutsthuru, Dumez, Nyongera, Kasasa, Kidati. Le notizie che arrivano attraverso i fuggiaschi, riempiono di orrore e di paura. I soldati dell'esercito congolese si sono accaniti sulla popolazione che non è riuscita a fuggire. Sono entrati nei villaggi, hanno saccheggiato tutto quello che trovavano, hanno sparato, ucciso, mutilato, violentato. E poi, anche per nascondere le prove di una violenza che si ripete, ossessivamente, da almeno due mesi, hanno appiccato il fuoco e distrutto tutto. Voci, testimonianze agghiaccianti. Difficili da verificare. Gran parte del territorio del nord del Kivu è al centro di una battaglia che non ha fronti. I ribelli di Nkunda hanno sferrato l'attacco finale per la conquista di Goma: una conquista simbolica ma strategica in questa guerra dimenticata dal mondo. Prendere Goma significa chiudere un cerchio attorno ai drappelli di soldati congolesi dislocati in un raggio di 50 chilometri. I soldati lo sanno. Si spostano veloci, ripiegando e avanzando sui sentieri ricavati in mezzo alla foresta.
Il fronte del conflitto muta di giorno in giorno e chi si trova in mezzo, schiacciato da milizie demotivate e senza più disciplina, finisce per pagare il prezzo più alto. E' successo a Rutshuru, villaggio di 2000 abitanti. Qui sorgeva uno dei più grandi campi per rifugiati. I ribelli hanno ordinato a tutti di uscire, gli uomini divisi dalle donne. Si sono fatti consegnare cibo, vestiti, attrezzi, animali. Poi è scoppiato l'inferno. Qualcuno forse si è ribellato, altri hanno resistito. Contadini, gente indifesa, aggrappati alla disperazione e alla dignità. Hanno iniziato a sparare, a colpire con i machete, a mutilare, a violentare le donne. Tra pianti, urla, gente che fuggiva nella foresta, correndo tra i campi sventrati dai colpi di mortaio, dati alle fiamme. La maggioranza è riuscita a scappare, terrorizzata. Verso sud, verso Goma. Ma il campo è stato completamente distrutto dal fuoco. La strategia è chiara: distruggere tutto per creare il deserto. Impedire alla gente di tornare, creare zone cuscinetto di difesa per rallentare l'avanzata dei ribelli del generale Nkunda. Si stima che almeno 50 mila persone siano fuggite dal campo profughi dati alle fiamme. Ma altri duecento, forse trecentomila fuggiaschi vagano senza una meta. Un dramma che coinvolge almeno un milione di persone. Le condizioni sanitarie sono allarmanti. Già si parla di un epidemia di colera. La stagione delle piogge, appena iniziata, rende tutto ancora più difficile. Le strade sono impraticabili, la sicurezza è ridotta al minimo, girano drappelli di uomini armati che rubano, saccheggiamo e violentano. La proposta francese di inviare sul posto un contingente europeo è stata accolta con freddezza. Kigali, accusata di appoggiare i ribelli, non ne vuole sentire parlare. Kinshasa attende. Ma ieri i presidenti di Congo e Ruanda, Joseph Kabila e Paul Kagame hanno detto di essere d'accordo a partecipare ad un eventuale summit internazionale sulla crisi del Congo. Dal 2003 ci sono già 17 mila caschi blu dell'Onu ma non sembrano in grado di assolvere il loro compito: affiancano l'esercito congolese ma non assistono più la popolazione civile. Si cerca di ricomporre il filo del dialogo. Tra mille difficoltà. Il ministro degli Esteri francese Kouchner dice "che sta accadendo un massacro mai visto in Africa". E oggi si reca a Goma assieme al collega britannico David Miliband per tentare una mediazione impossibile.
(1 novembre 2008)

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